Library / Literary Works

    Costantino Nigra

    La Rassegna di Novara

    La vigilia dei Morti, a mezzanotte,
    La muta cripta di Superga, ogni anno,
    Si popola d'armate ombre guerriere
    Per breve ora risorte. Al noto squillo
    Delle trombe di Gòito redivive
    Si scoperchia l'avello, ove d'Oporto
    Reduce dorme, scheletro gigante,
    Il vecchio Re. Dall'arca immane ei sorge
    Lento, appoggiato sulla lunga spada.
    Suonan per la navata erma gli sproni
    Al misurar dei passi. A lui dintorno
    S'affollan densi i capitani uccisi
    Nelle patrie battaglie. I palafreni
    Di funebri nitriti empion la vôlta.
    Salito in groppa al candido destriere,
    Fedel compagno delle guerre antiche,
    Cavalca il Re per val di Po. Discende
    Simile al nembo il pallido fantasma
    Dai Torinesi colli alle pianure
    Di Vercelli, di Sesia e di Novara,
    E là si pianta immobile sul vallo
    Già testimonio d'infelici pugne
    Ed or ritrovo a lugubre rassegna
    Dei caduti guerrieri.
    Anima eterna
    Del mio paese! A me nell'arso fianco
    Il tuo possente anelito trasfondi.
    Fammi udir dalle schiuse sepolture
    La tua gran voce; e tu m'ispira il verso
    Che fa santa la tomba, ed immortale
    Il lauro ai forti per la patria estinti.
    Calma, severa, tacita, compatta,
    Ferma in arcione, gravemente incede
    La prima squadra, e dietro al Re s’accampa
    In chiuse file. Pendono alle selle,
    Lungo le staffe nitide, le canne
    Delle temute carabine. Al lume
    Delle stelle lampeggian le sguainate
    Sciabole. Brillan di sanguigne tinte
    I purpurei pennacchi, erti ed immoti
    Come bosco di pioppe irrigidito.
    Del Re custodi e della legge, schiavi
    Sol del dover, usi obbedir tacendo
    E tacendo morir, terror de’ rei,
    Modesti ignoti eroi, vittime oscure
    E grandi, anime salde in salde membra,
    Mostran nei volti austeri, nei securi
    Occhi, nei larghi lacerati petti,
    Fiera, indomata la virtù latina.
    Risonate, tamburi; salutate,
    Aste e vessilli. Onore, onore ai prodi
    Carabinieri!
    Rapida trascorre,
    Quasi muta di veltri alla foresta,
    Avida, ardente, la colonna invitta
    Dei bruni bersaglieri, orgoglio e speme
    Dell’Italia novella. Ondeggian nere
    Le penne sugli svelti òmeri. In pugno
    Brandiscon l’infallibile moschetto,
    Spavento al cuor delle Morave spose.
    Alto in mano l’acciar, la sua precede
    Glorïosa coorte il capitano
    Che spirò la gagliarda anima ai campi
    Della Tauride infesti. E come ai giorni
    Delle battaglie, al fulminato ponte
    Chiama i giovani eroi, sangue eruttando
    Grida e terror dalla squarciata gola.
    Agili al corso, aspri alla lotta, adusti
    Le maschie fronti all’isolano sole,
    Seguono i sardi cacciator. Giganti
    Gl’incalzano alle terga i granatieri
    Del re. Torreggian sugli erculei colli
    Le sudate cervici tutte chiuse
    Nell’ispide di peli ardue barbute.
    Ecco Savoia, de’ suoi fasti altera,
    E de’ suoi Duchi. Ma in silenzio e cupe
    Passan le schiere, chè le punge in cuore
    Dei divisi fratelli il desiderio.
    Dinanzi al re s'inchinano dei quattro
    Reggimenti le lacere bandiere,
    Reliquie illustri di ben cento pugne.
    Onor del campo, eletto fiore e nerbo
    Dell’esercito, or giungono le bande
    Del mio Piemonte e della vecchia Aosta,
    I veterani dell’argentea croce
    E quei che mandan difensor dell’Alpi
    Dalle sponde di Gesso e della Dora
    Cuneo fedele e la turrita Ivrea.
    Gli otto pennoni esultano nei raggi
    Dei tre color; come iridate nubi
    Spinte dal soffio di procella estiva,
    Fiammeggiano pel buio aere coruschi.
    Date, o trombe, il saluto ai valorosi;
    Tonate, o bronzi! Nei forati lombi
    Dei soldati di Gòito e di Novara
    Rivisse intatta la virtù dei prischi
    Battaglioni d’Assietta e di Torino.
    Date, o trombe, il saluto ai valorosi!
    Pari in forza ed ardir, s’avanzan fitti
    I bellicosi fanti Monferrini,
    Quanti inviâr dalle pampinee falde
    Casal, Voghera, ed Alessandria, e Novi
    Ricca di gelsi, e la petrosa Bobbio,
    Acqui fumante di sulfurea vampa,
    Ed Alba, e la ferace Asti, e Tortona.
    Spuntan le nere compagnie montane
    Di Pinerolo, e dei Valdesi suoi,
    Dei patrj gioghi e della fè degli avi
    Acri custodi. Gli oliveti e i cedri
    Lasciaron questi alle marine prode,
    Ai drappelli fraterni li congiunse
    Genoa superba, e Chiavari, e San Remo
    Ch' educa, premio al vincitor, le palme,
    E Albenga, amor dell'odoroso arancio,
    E Spezia, ai naviganti ospite sede,
    E di vele e d'antenne irta Savona.
    Varia d'ordini e d'arme e di divise
    Posa in disparte, in fiero atto, una schiera
    Taciturna. Ma freme entro gli audaci
    Liberi petti amor di patria antico.
    Dovunque il ferro si snudò nel nome
    Sacro d'Italia accorser gli animosi
    Dalle mille città, lieti esponendo
    Al reo capestro, alla mannaja, al crudo
    Piombo omicida le devote teste.
    Tutti del sangue lor son caldi i solchi
    Della fatal Penisola, e feconda
    Germogliò dalle infrante ossa disperse
    La rinnovata libertà. Sorgete,
    Martiri di Spilberga, intemerati
    Difensor di Venezia, illustri e care
    Ombre di Curtatone, vincitori
    Di Marsala e di Capua, e voi trafitti
    Per le vie di Milano, e voi caduti
    Sotto le mura dell'eterna Roma.
    Non vi dolga, implacate alme sdegnose,
    Piegar le vostre alle onorate insegne
    Dei nostri Re. Sono d'Italia insegne.
    Uno è il vessil dall' ultim'Alpe all'Etna.
    Odo l'unghie ferrate, odo i nitriti,
    Veggo nembi di polve e selve d'aste.
    Dei concitati alipedi le nari
    Splendon di sangue; schizzano le fiamme
    Dall'arse gole, e come onda in tempesta
    Fuman di spuma le fuggenti groppe.
    Galoppan primi i cavalier Nizzardi
    Curvi sul collo all'agili polledre
    Sui margini del Varo esercitate.
    Li seguon dei crestati elmi coperti
    Di Piemonte Reale i poderosi
    Baldi squadroni. Il nobile stendardo
    Guida i valenti che lasciâr le rive
    Di Tanaro e di Stura, e i piani e i poggi
    Di Mondovì, di Susa e di Saluzzo,
    Di Chieri e dell'armigera Torino.
    Dalle Valli dell'Arco e dell'Isero
    Venner, d'anca robusta e d'unghia soda,
    I tarchiati destrier, sangue Normanno,
    Cresciuti lungo il Rodano, e li monta
    Della Sabauda gioventù la scelta.
    Benché nati sul mar, premono il dorso
    Dei criniti leardi d'Appennino
    I condottieri della quarta squadra
    Che da Genova ha nome. A lor dappresso
    Di Novara i lancier spingono all'urto
    Dei quadrati manipoli e dei valli
    I generosi corridor che bagna
    Ne' suoi lavacri il limpido Verbano,
    I nutriti alle fresche erbose coste
    Di Biella industre e ai Vercellesi prati.
    Quei che pascon dell'Ossola le biade,
    E quei che l'acqua del Ticin disseta.
    Colle picche abbassate ora si slanciano.
    Sonanti al par di scatenato turbine.
    Gli squadroni d'Aosta impetuosi.
    Come d'alto piombanti aquile, i foschi
    Cavalcator divorano la via
    Tra fumo e polve. Volano impennati
    I sauri avvezzi a valicar le arene
    Del rapid'Orco e della Baltea Dora.
    Volan le grigie indocili cavalle
    Che cacciò contro alle nemiche punte
    Dai sette laghi e dagli alpini paschi
    E dai cento castelli il Canavese.
    Chiudon le Guide, in bianche mostre, e i destri
    Cavalleggieri, dell'equestre massa
    La lunga fila galoppante. All'oste
    Sui bai Furlani e sui Pisan morelli
    Li mandaron Toscana e Lombardia.
    Ma non tornar. Chè ai cavalier gentili
    Ruppero il cuor le Tirolesi palle.
    E or vengon sanguinose ombre a rassegna.
    Scossa è la terra al rotear dei carri
    E dei cannoni, dalle larghe bocche
    Accostumati a vomitar la morte.
    Un orrendo fragor d'arme e d'arnesi,
    Di nitriti, di scalpiti, di ruote
    Stridenti, s'alza al trapassar veloce
    Delle pesanti batterie. Superbi
    Di tranquillo valor, dall'alte selle
    Reggon gli affusti ed i fulminei bronzi
    I cannonieri dall'equina chioma
    Per le spalle agitata. Ad essi impera
    Sopra tutti fortissimo guerriero,
    Di forme insigne e d'ardimento, il Duca
    Di Genova. Il rapì fato immaturo
    Mentre ei già si vedea militi e navi
    Densar sui liti del remoto Eusino.
    Mesto cavalca il giovinetto eroe.
    Gemendo in cuor che in van cercato egli abbia
    Morte più bella a Stáffalo od a Volta
    O di Peschiera agli espugnati spaldi
    Sotto il guardo paterno. Al Re profonda
    Stringe il seno pietà, delle sue case
    Or qui mirando il più bel fior reciso
    Anzi tempo; e una lagrima segreta
    Lentamente nel fisso occhio gli trema.
    Ma già si pinge il Veneto Oriente
    Nei tenui albori della fredda aurora;
    S'impallidan le rare occidue stelle
    Fra le nuvole erranti. A poco a poco
    Si spolpano cavalli e cavalieri,
    E all'incerto crepuscolo confusi
    Van balenando in bianche righe i nudi
    Scheletri. Ancor palleggiano le lancio
    Le scarne dèstre e librano i fucili.
    Premon gli acuti femori le vuote
    Equine coste; e sotto ai radïanti
    Elmi s'infoscan le scavate occhiaje.
    Insolito clangor metton le tube
    Imboccate dall'aride Mascelle,
    Come squillo d'Arcangelo.
    Col brando
    L'ombra regal dà l' ultimo saluto
    Alle spente falangi e si dilegua
    Nei primi raggi del nascente sole.




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