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    Gabriele D'Annunzio

    Ballata di Astìoco e di Brisenna

    Amor, quando fiorian ne ’l bel paese
    il biondo Astìoco e Brisenna reina,
    da ’l colle a ’l pian, da ’l fiume a la marina
    sonavan alto le tue chiare imprese.

    La terra di Brolangia era un verziere,
    in figura d’un sistro, ismisurante.
    Il verde paradiso due riviere
    cingeano, come braccia d’un’amante.
    Il suol crescea meravigliose piante,
    nudrito da le pingui alluvioni.
    Quivi tennero lieti eptamerori
    il dotto Astìoco e Brisenna cortese.

    La bontà che venia da’ lor costumi
    era sì dolce, o Amore, e sì profonda
    che il suolo si coprìa di rose e i fiumi
    volgean oro smeraldi ambra ne l’onda;
    e, come ne la Tavola Rotonda,
    ragionavano i tronchi e le fontane,
    potea la Luna su le menti umane,
    munìan li incanti ai prodi elmo e pavese.

    Su la cima de ’l bel colle d’Orlando
    sorgevano i palagi, aperti a ’l giorno.
    Diecimila colonne scintillando
    ricorrevan per l’alte moli a torno.
    Vi saliva una scala, in doppio corno,
    ampia, coperta di fanti e d’arcieri,
    di messi, di valletti e di levrieri,
    di dame e di donzelle in ricco arnese.

    Convenivan le donne de’ poeti
    ivi, in un luogo detto Galaora;
    e sedeano in su’ fulgidi tappeti,
    ove li amor di Cefalo e d’Aurora,
    illustri opere d’ago, uscieno fuora
    qua e là di tra le vesti ricoprenti.
    Sedean le donne, in bei componimenti
    di grazia, ad ascoltar la serventese.

    Oh fontana d’Elai, per molti getti
    ricadente ne ’l vaso di porfìro,
    che dieci ninfe e dieci satiretti
    reggean, piegati ad una danza, in giro!
    Immergeavi una coppa di zaffiro
    Brisenna, e la porgeva a ’l rimatore.
    Celava l’acqua in sé virtù d’amore
    che in cor mortale si facea palese.

    Ma le belle traevansi in disparte.
    Venivan quindi per eguali torme
    di sette; e digradando in lungo ad arte
    imitare volean l’ìmpari forme
    de ’l flauto che il dio Pan seguendo l’orme
    di Siringa construsse in su ’l Ladone.
    Come le canne, l’agili persone
    tutte vibravano, a la danza intese.

    Ogni torma correa verso l’eletto.
    Ad una ad una le bocche fragranti,
    le bocche dolci più che miel d’Imetto,
    egli baciava, splendido in sembianti.
    Fuggìa la torma, ed ecco l’altra avanti.
    E svolgeasi così, lungo i roseti,
    la danza; mentre li èmuli poeti
    a tal vista fremean nuove contese.

    Oh fontana d’Elai, dove son l’acque
    che un dì fluiron per sì larga vena?
    Dov’è il murmure tuo che tanto piacque
    a ’l mite Astìoco e a Brisenna serena?
    Cadde una notte ne ’l tuo sen la piena
    Luna, divelta per forza di carmi.
    S’infransero a ’l tremore orrido i marmi,
    e fumaron stridendo l’acque incese




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