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    Gabriele D'Annunzio

    Il dolce grappolo

    - O Madonna Isaotta, il sole è nato
    vermiglio in cima a ’l bel collo d’Orlando:
    ei su’ vostri balconi ha ravvivato
    le rose che morìan trascolorando.
    Sorga da l’ampio letto di broccato
    or la vostra beltà lume raggiando.
    O Madonna Isaotta, il sol che v’ama
    con un lucido cantico vi chiama;
    e gridano i paoni a quando a quando.

    Udite voi salir nostre preghiere
    o ancor vi tiene il Sonno in tra le braccia?
    Dolce sarebbe a’ nostri occhi vedere
    i primi raggi su la vostra faccia
    ove il trapunto lin de l’origliere
    ne la notte lasciò sua rosea traccia.
    Palpita il vostro sen con più veloce
    ansia a’ richiami de la nostra voce
    mentre la fante il busto alto v’allaccia?

    "Levasi a lo mattin la donna mia
    ch’è vie più chiara che l’alba del giorno,
    e vestesi di seta Caturìa,
    la qual fu lavorata in gran soggiorno
    a la nobile guisa di Surìa",
    canta l’Antico ne ’l poema adorno.
    "Il su’ colore è fior di fina grana,
    ed è ornato a la guisa indiana;
    tinsesi per un mastro in Romanìa."

    Levasi da ’l gran letto in su l’aurora
    la mia donna; e la sua forma ninfale
    tra le diffuse chiome a l’aria odora
    e a ’l sol risplende più bianca de ’l sale.
    Tutta di gocce tremule s’irrora
    ne ’l lavacro di marmo orientale.
    Miran le statue a torno quella pura
    forma e tessuta ad arte in su le mura
    ride la greca favola d’Onfale.

    Ridono i fatti di Venere dia
    su ’l cofano di cedro, alto lavoro
    d’artefici maestri di tarsìa,
    che sta ne ’l mezzo d’un bacile d’oro;
    ove con signorile atto la mia
    donna gitta incurante il suo tesoro
    di smeraldi, rubini e perle buone
    che piovon come per incantagione
    sovra il metallo nitido e sonoro.

    Ella, composta in vago atteggiamento,
    a mezzo della rara conca emerge;
    e la fante con anfore d’argento
    pianamento d’ambrate acque l’asperge.
    A ’l diletto ella freme, e con un lento
    gesto la chioma rorida si terge.
    Come tondi i ginocchi e come bianchi!
    Han da ’l respiro un dolce moto i fianchi
    e il petto ad ogni brivido s’aderge.

    O Madonna Isaotta, è dura cosa
    ir le beltà non viste imaginando.
    A voi conviene omai d’esser pietosa
    poi che da tempo in van prego e dimando.
    La bocca picciolella ed aulorosa,
    la gola fresca e bianca in fine quando
    concederete a ’l bacio disiato?
    O Madonna Isaotta, il sole è nato
    vermiglio in cima a ’l bel colle d’Orlando. -

    II

    Così chiamai l’amata in nona rima,
    sotto il grande balcon di tiburtino
    ov’han lo scudo il Guttadàuro-Alima
    con gocce d’oro in campo oltremarino.
    Dormìa la villa ne ’l silenzio: in cima
    a li aranci de ’l nobile giardino
    aprivano i paoni le gemmanti
    piume verso la luce, e de’ lor canti
    striduli salutavano il mattino.

    Ella apparve. - Buon dì, messer cantore! -
    disse ridendo con gentile volto.
    - Non questo è il tempo gaio de ’l pascore,
    ma voi siete di ver loquace molto.
    Or seguite a trovar rime d’amore
    ché con benigno orecchio, ecco, v’ascolto. -
    Io le dissi: - Madonna, io son già fioco.
    Or voi di sì salutevole loco
    scendete a me che son di pene avvolto! -

    Ella tacque; ed il capo inchinò mite:
    ne li occhi le ridea novo pensiere.
    Tutta quanta di porpora una vite
    saliva da l’inferior verziere,
    e le bacchiche foglie colorite
    mesceansi con le rose a le ringhiere.
    Avean piegato un dì li aspri sermenti
    a la copia de’ grappoli rubenti
    che il padre Autunno infranse ne ’l bicchiere.

    Ella disse ridende: - Io pongo un patto,
    vago sire, a la mia dedizïone. -
    - Il vago sire - io dissi - accoglie a ’l tratto
    quel ch’Isaotta Guttadàuro pone. -
    Ed ella: - Quando un sol grappolo intatto
    ne’ vigneti che bagna il Latamone
    lungh’esso il chiaro colle solatìo
    troveremo, io sarò pronta a ’l disìo
    vostro e sarete voi di me padrone. -

    III

    Ella discese allora: un giuramento
    fece sicuro il gran patto d’amore.
    E prendemmo la china. Senza vento
    era l’aria; ne ’l placido candore
    erano i campi senza ondeggiamento,
    brevi selve di canne erano in fiore.
    Quasi una gratitudine beata
    a ’l sole offrìa la terra bene amata:
    era novembre, il tempo de ’l sopore.

    D’innanzi, il Latamon, fiume regale,
    lambiva in suo lunante arco i vigneti
    ove l’ebro clamor vendemmiale
    ed i carmi de’ rustici poeti
    salutato avean già l’almo natale
    de ’l vino autor di gioia, ora quieti.
    Disse Madonna: - Siate accorto e saggio:
    quivi incomincia il pio pellegrinaggio.
    D’intorno s’inchinarono i canneti.

    Io dissi: - Non mi giova la fortuna,
    o Madonna Isaotta, ne ’l trovare. -
    Ed ella a me: - Non ha virtude alcuna
    il fino Amore per v’illuminare?
    Il grappolo tardìo dove s’aduna
    da lungo tempo, come in alveare,
    la dolcezza de ’l miele a ’l lento foco
    de ’l sole, aspetta noi per qualche loco. -
    Io dissi: - Non mi stanco di cercare. -

    Noi camminammo giù per la vermiglia
    china che discendeva a l’acque d’oro.
    Da lungi a quando a quando una famiglia
    di villici sorgendo da ’l lavoro
    ci guardava con alta maraviglia;
    e le fanciulle interrompeano il coro.
    Venendo innanzi con giulivo ardire
    una gridò: - Che mai cerchi, o bel sire? -
    Ed io risposi a lei: Cerco un tesoro. -

    Noi così camminammo: ella men lesta,
    poi che non concedeami anco la mano.
    In guardare tenea china la testa,
    bella come la bella Blanzesmano
    allor che cavalcò per la foresta
    a fianco a ’l suo Lancialotto sovrano.
    Le fronde sotto i piè stridevan forte;
    ma a quelle viti ignude aspre e contorte
    li occhi chiedevan la dolce esca in vano.

    Disse Madonna: - Riposiamo al fine. -
    Era lungi un trar d’arco il bel rivaggio.
    L’alta erba mareggiava in su ’l confine
    placidamente, come biada a maggio;
    or sì or no giungea da le colline
    di citisi e di timi odor selvaggio.
    Pareva il sol d’autunno per le chiare
    vie de ’l cielo un novello orbe lunare:
    i vapori facean mite il suo raggio.

    Ella disse. Non mai le sue parole
    ebber soavità così profonda:
    cadevan come languide viole
    da l’arco de la sua bocca rotonda.
    E quel sorriso fievole de ’l sole
    ancor la testa le facea più bionda.
    Era, d’intorno, un grande incantamento.
    Era il diletto mio qual d’uom che, lento,
    in giaciglio di fiori ampio s’affonda.

    Tacque. Uno stuol d’augelli, d’improvviso,
    attraversò con ilari saluti.
    Noi trasalimmo, come ad un avviso
    misterioso de la terra; e, muti,
    impallidendo ci guardammo in viso.
    Poi prendemmo sentieri sconosciuti.
    I pioppi nudi e senza movimento
    parevan candelabri alti d’argento
    ed i lauri fremean come leuti.

    IV

    Oh ne la valle concava d’Orlando
    inaspettata vista de ’l tesoro!
    Giacea la bella vigna fiammeggiando
    con tralci di rubino e foglie d’oro;
    e uno stuolo d’augelli roteando
    facea nel mezzo della vigna un coro.
    - O Madonna Isaotta, ecco la vita! -
    io le gridai con l’anima rapita.
    Ed in alto gridò lo stuol canoro.

    Io la trassi a quel loco: ella più lesta
    venìa, ché forte io la tenea per mano.
    Tutta rosea volgea da me la testa,
    bella come la bella Blanzesmano
    allor che la baciò per la foresta
    l’amato suo Lancialotto sovrano.
    E le dissi: - O Madonna, io tengo il patto.
    Per voi colgo il fatal grappolo intatto. -
    Ella mi diede il bacio sovrumano.




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