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    Giacomo Zanella

    La divina Provvidenza

    MATTEO. Capo VI.

    Contadinello, che ne’ giorni brevi
    Lavor non trovi ed ansio del domani
    Miri dall’uscio le cadenti nevi,
    Che tutti intorno han già nascosti i piani,
    Se sgomento ti assale, odi parola
    Del Signor che t’è presso e ti consola.


    Figlio, soverchia cura
    Non prendere dell’ora
    Che l’avvenir matura
    Fosco a’ tuoi sguardi ancora.

    Se sulla nuda mensa
    Ti vien mancando il pane,
    Non ti atterrir; ma pensa
    Che un Padre ti rimane.

    Se mentre gela il vento
    E stridon le tempeste,
    Il tuo carbone è spento,
    Sdruscita la tua veste,

    Non dire: «il poverello
    Chi coprirà di un saio?
    Al gramo villanello
    Chi colmerà lo staio?»

    Di Dio non sei tu l’opra?
    E non aver paventi
    Un cencio che ti copra,
    Un pan che ti alimenti?

    Mira gli augelli! A loro
    Il genitor celeste
    Altro non diè tesoro
    Che il canto e le foreste.

    Non serbano di biade
    Colmi granai; ma quando
    Lo inverno l’aria invade,
    Il giorno ottenebrando,

    Con flebil pigolìo,
    Sparsi di neve il dorso,
    Levano gli occhi a Dio
    In cerca di soccorso.

    Ed Ei n’ascolta il grido;
    E l’ali all’aquilone
    Temprando, presso al nido
    Il granellin depone.

    E tu da men ti credi
    De’ passeri? Le cose
    A’ tuoi regali piedi
    Tutte il Signor non pose?

    Nè del vestir ti accori
    Troppo il pensier: Colui,
    Che dà la veste a’ fiori,
    Coprirà i membri tui.

    Guarda del campo al giglio:
    Non fila, non intesse;
    Pur fu monarca, o figlio,
    Che simil veste avesse?

    Splendeva, come stella,
    Di ammanti e di corone;
    Pur clamide sì bella
    Non cinse Salomone.

    Che se bontà divina
    Veste così vil erba
    Che, volta una mattina,
    Al forno si riserba;

    Se amor che mai non dorme,
    Alla stagion nemica
    Le miserelle torme
    De’ passeri nutrica;

    O povero di fede,
    Sarà che ti abbandoni
    Chi lo spirar ti diede
    A ornarti de’ suoi doni?

    De’ fiori tu men vali
    E degli augelli? O temi
    Che, aprendosi a’ mortali,
    L’arca al Signor si scemi?




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