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    Lorenzo de' Medici

    Canzona delle forese

    Lasse, in questo carnasciale
    noi abbiam, donne, smarriti
    tutt’a sei nostri mariti;
    e sanz’essi stiam pur male.

    Di Narcetri noi siam tutte,
    nostr’arte è l’esser forese;
    noi cogliemo certe frutte
    belle come dà il paese;
    se c’è alcuna sì cortese,
    c’insegni i mariti nostri;
    questi frutti saran vostri,
    che son dolci e non fan male.

    Cetrïuoli abbiamo e grossi,
    di fuor pur ronchiosi e strani;
    paion quasi pien’ di cossi,
    poi sono apritivi e strani;
    e’ si piglion con duo mani:
    di fuor lieva un po’ di buccia,
    apri ben la bocca e succia;
    chi s’avezza, e’ non fa male.

    Mellon c’è cogli altri insieme
    quanto è una zucca grossa;
    noi serbiam questi per seme,
    perché assai nascer ne possa.
    Fassi lor la lingua rossa,
    l’alie e’ piè: e’ pare un drago
    a vederlo e fiero e vago;
    fa paura, non fa male.

    Noi abbiam con noi baccelli
    lunghi e teneri da ghiotti;
    ed abbiamo ancor di quelli
    duri e grossi: e’ son buon cotti
    e da far de’ sermagotti;
    se la coda in man tu tieni,
    su e giù quel guscio meni,
    e’ minaccia e non fa male.

    Queste frutte oggi è usanza
    che si mangin drieto a cena:
    a noi pare un’ignoranza;
    a smaltirle è poi la pena:
    quando la natura è piena,
    de’ bastar: pur fate voi
    dell’usarle innanzi o poi;
    ma dinanzi non fan male.

    Queste frutte, come sono,
    se i mariti c’insegnate,
    noi ve ne faremo un dono:
    noi siam pur di verde etate;
    se lor fien persone ingrate,
    troverrem qualche altro modo,
    che ’l poder non resti sodo:
    noi vogliam far carnasciale.


    Canti carnascialeschi




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