Library / Literary Works

    Ludovico Savioli

    La Solitudine

    Lascia i sognati Demoni
    Di Falerina, e Armida;
    Porgi l’orecchio a storia
    Più antica, e meno infida.

    Sparta, severo ospizio
    Di rigida virtude,
    Trasse a lottar le vergini
    In sull’arena ignude.

    Non di rossor si videro
    Contaminar la gota:
    È la vergogna inutile,
    Dove la colpa è ignota.

    Fra padri austeri immobile
    La gioventù sedea,
    E sconosciuto incendio
    Per gli occhi il cor bevea.

    Ma d’oro, o d’arti indebite
    Preda beltà non era:
    Sacre alla patria, dissero:
    Per lei combatti, e spera.

    Grecia tremò: vittoria
    De’ chiesti amor fu lieta;
    Premio gli estinti ottennero
    Di lagrima segreta.

    Chi v’ha rapito, o secoli
    Degni d’eterna lode?
    Tutto svanì. Trionfano
    Fasto, avarizia, e frode.

    Fuggiamo, o cara, involati
    Dalla città fallace:
    Meco ne’ boschi annidati,
    Chè sol ne’ boschi è pace.

    Remoto albergo spazia
    Su i colli, e al ciel torreggia:
    Certo invecchiò Penelope
    In men superba reggia.

    Là Ciparisso ad Ecate
    Sacro le cime innalza:
    Là densi abeti crescono
    Ombre d’opposta balza.

    L’arbore ond’ arse in Frigia
    La Berecintia Diva
    Contrasta al vento: ei mormora,
    E i crin parlanti avviva.

    Un antro solitario
    Nel tufo apriron l’acque,
    Forse che a’ dì più semplici
    Fu rozzo, e rozzo piacque.

    Il vide arte, e sollecita
    Vi secondò natura:
    Teti di sua dovizia
    Vestì le opache mura.

    Onde argentine in copia
    Dalla muscosa conca
    Versa tranquilla Najade
    Custode alla spelonca.

    Spesso la Cipria Venere
    Ne’ spechi ermi s’assise,
    Quando del ciel dimentica
    Seguía pei monti Anchise.

    Il vide, amollo, e supplice
    Furtive nozze offerse:
    Fornir l’erbette il talamo,
    Un elce il ricoperse.

    Sui gioghi Idalii crebbero
    Cento vergate piante,
    E le fortune apparvero
    Dell’indiscreto amante.

    Ah se di gioja insolita
    È frutto un tanto errore,
    Ricusi alle mie lagrime
    Gli estremi doni Amore.

    Vieni: te vuoti aspettano
    Da cure i dì beati:
    Te pure notti e placide,
    Madri di sogni aurati.

    Se i tuoi desir secondano
    Le facili speranze . . . . .
    Ma taci? ohimè tu mediti
    Veglie, teatri, e danze.

    O Gallo, o tu di Druidi
    Un tempo orrendo gioco,
    Esca infelice e credula
    D’un esecrato foco,

    Tu regni, e ai ciechi popoli
    È legge il tuo costume:
    Cangi, e a tua voglia cangiano
    In lui le belle un Nume.

    Ha tua mercè l’imperio
    Su i cor ragion perduto:
    Per l’arti tue Proserpina
    Saría rapita a Pluto.




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