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    Mario Rapisardi

    Per la guerra d'America

    Dunque fia ver? Le sanguinose spade
    Più non porranno? Il glorioso alloro
    Mani fraterne sfronderan? Le sponde
    Cui Libertà sorrise
    Rosseggeranno di fraterna clade?
    E dalle americane ospiti fronde
    Muterà il trono Libertà sbandita?
    E sperderan di Libertà il tesoro?
    Nullo timor, nulla speranza ancora
    Quelle sanguinolenti ire conquise?
    A sì felice aurora
    Questa succederà notte aborrita?
    O tu, ch’oltre la sfera
    E le nebbie di nostri odj mortali
    Siedi, e a poche sorridi anime elette,
    Eterna Verità, tu dammi l’ali,
    Dammi virtù, che sia
    Interprete di te la voce mia!

    O di discordia orrenda
    Germe funesto e ria cagion di pianto
    E d’eterno rimorso! Ai padri accanto
    Non giacciano i codardi
    Che a la lizza feral corser primieri.
    Liberal non accolga il patrio tetto
    Chi da vil odio morso
    Sfogò sua rabbia nel fraterno petto!
    In lettere di sangue
    Gli siederà l’infamia in su la fronte;
    Ovunque moverà ramingo il passo,
    L’incalzerà il rimorso;
    Nè morran seco la memoria e l’onte.

    Già correr sangue io vedo
    La gleba, ove sul vomere sudante
    Gioía le blande orezze
    Il colono solerte,
    E all’aura vespertina ondoleggiante
    La ricca mèsse, ove già fùr deserte
    Piagge e inospiti lande, unico asilo
    Alle belve dipinte. E sangue io vedo
    Volgere le tumide onde,
    Ed ahi, sul risonante
    Dorso non veggio la dorata prora
    Che le rari nel sen merci nasconde;
    Ma rotte antenne e sparte
    Vele e lacere insegne
    E galleggianti sarte
    E travolti cadaveri ed ordegni
    Terribili di guerra,
    De la rabbia civil non dubbi segni!

    Pallide come spettri erran le vie
    Sanguinose, le madri a la tard’ora
    Neglettamente in bruno vel raccolte;
    E fumar vedon l’aie,
    E le pingui mancar bionde ricolte
    Che dei figli malnata ira distrugge;
    E tuonar per la lunga odono l’eco
    Di ripercossi acciari,
    E di lunghi ululati empiono il cielo.
    Del sacro Eurota o sacro
    Imperituro zelo
    Di feminea virtù! Sul limitare
    Sedean le madri disdegnose, i figli
    Su lo scudo aspettando,
    O del gramineo serto o del murale
    O del rostrato onusti;
    E le ferite sanguinanti ancora,
    Gloriose baciando.
    Onde i prodi cogliean nome immortale,
    Lui beato, dicean, che tra’ perigli
    De la patria primier vola, e procombe!
    E religion la patria era, e sol nume
    Era il dovere, e sacre eran le tombe.

    E tal voi foste allora
    Che al cimento mortal correan festanti
    figli vostri, o Amazzoni novelle
    D’un nuovo Eurota! E voi ditelo, o schiere
    Franche, o ispane coorti,
    Che al vostro grido redentor primiere
    Correre le vedeste,
    E pugnare, e svegliar l’ire dei forti!
    Lo sa il tiranno d’Albion, lo sanno
    Di Charlestòne i liti,
    Dove volar fùr viste in fra’ perigli
    In difesa dei figli e dei mariti!

    Ma or vano è il pianto, e la virtù non giova.
    Inesorata è l’ira
    Come la morte. Un dì fu visto un fiero
    Offeso figlio di Quirino, al piede
    D’una madre depor l’armi e lo sdegno,
    Chè a la difficil prova
    Quell’irato non resse. Or vano è il pianto,
    Chè già ogni senso di pietà è distrutto,
    Ogni virtù in oblio.
    Un émpito per tutto
    Di ciechi studi e uno stridir di carra
    E un rimpalmar di corazzate legna
    E un batter di lucenti armi e una piena
    Di furibondi. Libertà vegg’io
    Da l’apalachie vette
    Fisar quegl’implacati odi, e la ria
    Lotta sterminatrice, e al ciel, sdegnando,
    Mira il guardo raggiante e la serena
    Luce vagheggia ove tornar desia.

    Ed ecco allor sui combattuti campi
    Nebbia feral si stende
    E i pugnanti nel grembo atro ravvolge:
    Una torbida fiamma ecco s’accende
    Fra la notte e l’orror. Come gigante
    Balza fuor da l’avello
    Di Vasintón l’irata ombra, e agl’irati
    Si leva in mezzo, ed, Ove, ove correte,
    Ove correte, ei grida, o forsennati?
    A chi nemici incontro,
    A che battaglia, a che vittoria? Oh stolti,
    E son fraterni petti
    Che correte a ferir? L’istesso cielo
    Non vi sorrise, e vita e patria e nome
    Vi diè comuni e lingua ed ara e affetti?
    Queste non son le tombe
    Dei vostri padri che morìr per voi?
    Che morìr per la patria? Oh, dilungate
    Dilungate da quelle ossa, o profani!
    Sovra la polve di cotanti eroi,
    Empi, non lice insanguinar le mani.

    Ecco già sento un suono
    Di straniere falangi, e i nostri dritti
    Calpesteran. Profaneran gli altari,
    Il nostro onor, la nostra patria. È l’oro
    A quei tristi sol nume, è l’éneo tuono
    Lor diritto, e la preda unico alloro.
    E noi staremo? E spezzerem le spade
    Sui nostri petti? Allo stranier procace
    Tradirem nostra patria e nostro serto?
    Oh, pace, esacerbate anime, pace!
    E se di loro alcuno
    Approdare oserà nostre contrade,
    Vedrà come nel dì de le vendette
    Sappian volgere il brando ai traditori
    Un popolo discorde;
    E sui paterni avelli
    Serrar le destre e ritornar fratelli!


    Giugno 1863.




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