Library / Literary Works

    Mario Rapisardi

    Sul molo

    FERVONO lungo il fragoroso molo
    Le umane opere al sole, ed una mesta
    Fra cotanto travaglio aura di pace
    Su l’aspre cure de’ mortali aleggia.
    Scherza con l’odorose onde un’azzurra
    Serenità di primavera; e quinci
    Fuma l’Etna tranquillo, oltre i lucenti
    Palagi in fondo al chiaro ètera, quindi
    Rosei sfumano al nitido orizzonte
    Gl’iblei colli, di zàgare e di timi
    Sempre cortesi a voi, nettaree pecchie,
    A te un tempo di miti ombre e d’amori,
    Sicula musa, a’ dolci canti avvezza.

    Tacciono un tratto, poi che a mezzo è il giorno,
    Le sudate fatiche; e per le ingombre
    Banchine, su le scale erte e le negre
    Muraglie e i massi e l’ammontate balle
    Spargonsi i polverosi uomini, a cui
    Sollazzarsi di pan l’ora concede.
    E chi, tèrso il sudore atro, il conteso
    Tozzo a l’ombra si rode, e a la lusinga
    Del mare, o al suo pensier fosco sogghigna;
    Quale tra l’assi de’ segati pini
    Come in bara s’adagia, e a la morente
    Sposa ripensa; qual presso a le quadre
    Lame, in che chiuso è il fulgido bitume,
    Terror di regi e di città, rattizza
    Spensierato la pipa; e tu co’l tuo
    Indifferente occhio lo guardi, o Sole.

    Ma più fervide in poco e più gagliarde
    Riedon l’opre e i comercj. Sprigionato
    Da’ profondi lebeti il vapor fischia,
    Stridon argani e leve, urlan cresciute
    Da’ mantici le fiamme entro le cieche
    Fucine, mentre battono in cadenza
    Su le sonanti ancudini i martelli.
    Qui cedono scricchiando sotto i gravi
    Passi i pensili ponti, e incatenato
    Su l’alta prora abbaja al vento il cane;
    Là sotto il peso d’acreolente zolfo
    Da la riva a la barca in lunga fila,
    Ne la fredd’acqua i neri stinchi immersi,
    S’incurvano fanciulli, a cui l’avara
    Sorte non consentì ninnoli e baci.
    Ne la stiva profonda in lamentosa
    Voce le colme staja altri misura,
    Altri anelando a la girevol grue
    Con salde suste enormi sacchi affida;
    Bestemmia il carrettier su la fangosa
    Erta aízzando la sgroppata rozza;
    Mugghiano dentro a l’ondeggianti stalle
    Gli atterriti giovenchi, ed urla e suoni
    Varj mandano al cielo uomini e cose.

    Tutte sudan così quanto il Sol dura
    Le inopi ciurme de’ mortali. Infrante
    Riedon quinci da l’opre a’ tenebrosi
    Stambugi estrani a la salute, dove
    Geme l’egra vecchiezza in su marcito
    Strame a la stenta puerizia a canto;
    E d’ira e di pietà torbido il ciglio
    Brontola il genitor, che sempre impari
    A l’uopo de la lercia famigliuola
    Ne le rozze scodelle il pasto fuma.

    Quant’onesto sudor, quanti spregiati
    Dolori, quanta fame e quanto sangue
    Costano i vostri turpi ozj, o felici
    Divoratori del comun retaggio!


    Giustizia, 1883




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