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    Carlo Michelstaedter

    Aprile

    Che più d’un giorno è la vita mortale,
    nubilo breve freddo e pien di noia,
    che può bella parer ma nulla vale?
    PETRARCA, Trionfo del tempo


    Il brivido invernale e il dubbio cielo
    e i nembi oscuri, che al novello amore
    han fatto schermo della terra antica,
    dispersi a un tratto, al sol ride la terra
    che d’erbe e fiori ancor s’è ricoperta,
    se pur il ciel di nubi ancora svarii,
    onde occhieggian le stelle nelle notti,
    e nere fra il lor vario scintillare
    traggan le lunghe dita pel sereno,
    che al piano oscuro ed ai profili neri
    degli alberi dei monti si congiungono.
    Ma nel cielo e pel piano, ma nell’aria,
    ma nello sguardo della tua compagna
    e nel pallido viso,
    ma nel tuo corpo, ma per la tua bocca
    canta ciò che non sai: la primavera.

    Cosi mi tragge a me stesso diverso,
    e amor m’induce e desiderio, ancora
    ch’io non sappia perchè — pur fiducioso.
    Che pure in me natura si nasconde
    insidiosa, e ignaro me sospinge....
    Ahi, che mi vale, se pur fugge l’ora
    e mi toglie da me, si ch’io non possa
    saziar la mia fame ora qui tutta?
    Ma solo e miserabile mi struggo,
    lontano e solo, anche se a te vicino
    parlo ed ascolto, o mia sola compagna.

    Mentre di tra le dita delle nubi
    a che occhieggian le stelle nel sereno?
    Gia trapassa la notte e nuove fiamme
    leverà il sole, ch’ei rispenga tosto.
    Passano i giorni e già sarà qui il verno,
    e il sol sorgendo pallido e incurante
    farà fiorire il fango per le strade....
    A che occhieggian le stelle nel sereno?
    Qui bulica la terra e qui si muore,
    cantano i galli e stridon le civette.
    O gioia del novello nascimento,
    o nuovo amore e antico!
    O vita, chi ti vive e chi ti gode
    che per te nasce e vive ed ama e muore?
    Ma ogni cosa sospingi senza posa
    che la tua fame tiene, e che nel vario
    desiderar continua si trasmuta.
    Di sè ignara e del mondo desiosa
    si volge a questo e a quello, che nemici
    le amica il vicendevole desio,
    nemica a quelli pur quando li ami,
    e ancor a sè per più voler nemica.
    Cosi nel giorno grigio si continua
    ogni cosa che nasce moritura,
    che in vari aspetti pur la vita tiene,
    ed il tempo travolge — e mentre vive
    vivendo muor la dïuturna morte.

    Ed ancor io così perennemente
    e vivo e mi trasmuto e mi dissolvo,
    e mentre assisto al mio dissolvimento,
    ad ogni istante soffro la mia morte.
    E così attendo la mia primavera
    una ed intera, ed una gioia e un sole.
    Voglio e non posso, e spero senza fede.
    Ahi, non c’è sole a romper questa nebbia,
    ma senza fine e senza mutamento
    sta in ogni tempo intero ed infinito
    l’indifferente tramutar del tutto.

    Pur tu permani, o morte, e tu m’attendi
    o sano o tristo ferma ed immutata,
    morte benevolo porto sicuro.
    Chè ai vivi morti quando pur sia vano
    quanto la vita il pallido tuo aspetto,
    e se morir non sia che continuare
    la nebbia maledetta
    e l’affanno agli schiavi della vita,
    — purchè alla mia pupilla questa luce
    che pur guarda la tenebra si spenga,
    e più non sappia questo ch’ora soffro
    vano tormento senza via nè speme,
    tu mi sei cara mille volte, o morte,
    che il sonno verserai senza risveglio,
    su quest’occhio che sa di non vedere,
    sì che l’oscurità per me sia spenta.


    notte 16-17 aprile 1910.




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