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    Carlo Michelstaedter

    Nostalgia

    Ma un vento lieto giù dalla montagna
    invade la natura senza luce
    che per pioggia e per nebbia si dissolve,
    e delle nubi oscure la continua
    trama dirompe, e la diffusa nebbia
    leva ed in nembi bianchi la sospinge
    giocosamente;
    e ride il sole volto ad occidente,
    ed i monti lontani e le colline
    boscose e la pianura
    risuscita ugualmente illuminando
    nella lor gloria varia
    delle ben note forme.
    Ma splendono più chiare e più serene
    festevolmente,
    poichè più luminosi si rimandano
    i generosi a lor raggi del sole.
    Riluce il monte, il piano,
    e il ciel riluce
    verde di luce presso all’orizzonte,
    e in alto nell’azzurro
    l’ultime nubi fuggono ed il sole
    con lieto riso
    tinge di rosa gli orli alle fuggenti.

    Ahi, come tutta la natura in breve
    si rasserena
    nella pacata luce,
    e la pena passata e il lungo tedio
    dei giorni grigi oblia! che solo a gioco
    s’era offuscata, ed or con nuovo gioco
    si rinnovella
    e rifulge più pura.
    Ma il cor mi punge con tristezza amara
    che il dì ripensa della gioia
    e l’alba luminosa e la speranza
    folle e sicura, quando
    con lieto viso, incontro al nuovo sole,
    levai il primo canto, e la sua luce
    era certa promessa alla mia speme.
    E le dolci figure del mio sogno
    che appena avvicinate dileguaro
    tristi, perch’io ver lor fervidamente
    mi protendessi
    e in me le volessi, me stesso in loro
    tutto esauriva.
    Voler e non voler per più volere
    mi trattenne sull’orlo della vita
    ad angosciarmi in aspettar mia volta,
    ed ai giochi d’amore ad alle imprese
    giovanili mi fece disdegnoso,
    a qual pro? Ma alla veglia dolorosa
    una fiamma splendeva e la nutriva
    una speme più forte.
    Chè se al lieto commercio e del piacere
    al giocondo convito l’imperioso
    battere mi togliea del mio volere
    impaziente, e mi togliea il fatale
    precipitar dell’ora nel futuro,
    pur m’indicava la mia ferma fede
    un giorno ed una gioia senza fine,
    e l’affrettava.
    Ahi, quando pur m’illude la mortale
    mia vista che di fuor ci tinge certo,
    quanto ci manca sol perchè ci manca —
    ‘vuoto il presente, vuoto nel futuro
    senza confini ogni presente, placa
    il voler tuo affannoso!
    non chieder più che non possa natura!’
    — ma il cor vive, vuole, chiede e aspetta
    pur senza speme, aspetta e giorno ed ora,
    e giorno ed ora nè sa che s’aspetta,
    e inesorabilmente
    passan l’ore lente.
    Così è fuggita e fugge giovinezza,
    ed i miei sogni e la speranza antica
    nel mio cupo aspettar ancor ritrovo
    insoddisfatti.

    Che mi giova, o natura luminosa,
    l’armonia del tuo gioco senza cure?
    Ahi, chi il tuo ritmo volle preoccupare,
    rientrar non può nei tuoi eterni giri
    ad oziare
    nel lavoro giocondo ed oblioso!
    E suo destino attender senza speme
    nè mutamento,
    vegliando, il passar dell’ore lente.


    Dicembre 1909
    antivigilia dell’anno nuovo
    .




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