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    Ernesto Ragazzoni

    Siesta

    Oh il verde, il santo asil lungi dall’uomo!
    La selva è come un duomo
    di foglie. Un gnomo — certo qui vicin —
    suona il flauto al veron di qualche chiosco,
    e nulla, — nulla — è fosco.
    La Bella al Bosco dorme, e Puccettin
    fuggito all’Orco, e sceso al rivo a bere
    canta le sue preghiere.

    Il cielo è dolce, l’aura è sì radiosa
    che l’ombre sono rosa,
    ed ogni cosa — intorno intorno, par
    dormir come in un fondo d’acque chiare,
    in un albor lunare;
    poi scolorare un poco, e naufragar
    come in un sogno, lunge, dentro un’onda
    di foglie, più profonda.

    E l’alma pure naufraga, e il pensiero
    si cerca, in quel mistero,
    un cimitero — ove posare alfin,
    uno speco qualunque, un romitaggio
    ove sia sempre maggio,
    e dove un raggio — canti ogni mattin
    il suo requie al defunto, e lo consoli
    in chiave d’usignuoli.




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