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    Francesco Berni

    Capitolo dei cardi

    Poi ch’io ho detto di Matteo Lombardi,
    de’ ghiozzi, dell’anguille e di Nardino,
    voglio dir qualche cosa anco de’ cardi,

    che son quasi meglior che ’l pane e ’l vino;
    e s’io avessi a dirlo daddovero,
    direi di sì per manco d’un quattrino.

    Et anche mi parrebbe dire il vero,
    ma la brigata poi non me lo crede
    e fammi anch’ella rinegar san Piero;

    ben che pur alla fin, quando ella vede
    che i cardi son sì bene adoperati,
    le torna la speranza nella fede.

    E dice: "O terque quaterque beati
    quei che credono altrui senza vedere!",
    come dicon le prediche de i frati.

    Non ti faccia, villano, Iddio sapere,
    ciò è che tu non possa mai gustare
    cardi, carciofi, pesche, anguille e pere.

    Io non dico de’ cardi da cardare,
    che voi non intendessi qualche baia;
    dico di quei che son buon da mangiare,

    che se ne pianta l’anno le migliaia
    ed attendonvi a punto i contadini
    quando non hanno più facende all’aia;

    fannogli anche a lor mano i cittadini
    e sono oggi venuti in tanto prezzo
    che se ne cava di molti fiorini.

    Dispiacciono a qualch’un che non ci è avezzo,
    come suol dispiacere il cavïale,
    che pare schifa cosa per un pezzo:

    pur non di manco io ho veduto tale
    che, come vi s’avezza punto punto,
    gli mangia senza pepe e senza sale;

    senza che sien così trinciati a punto,
    vi dà né più né men drento di morso,
    come se fusse un pezzo di pane unto.

    A chi piaccion le foglie et a chi ’l torso;
    ma questo è poi secondo gli appetiti:
    ogniuno ha ’l suo giudizio e ’l suo discorso.

    Costoro usan de dargli ne’ conviti,
    dietro, fra le castagne e fra le mele,
    da poi che gli altri cibi son forniti.

    Mangiansi sempre al lume di candele;
    ciò è, volevo dir, mangiansi il verno,
    e si comincia fatto san Michele.

    Bisogna aver con essi un buon falerno
    o un qualch’altro vin di condizione,
    come sa proveder chi ha governo.

    Chi vuol cavar i cardi di stagione,
    sarebbe proprio come se volesse
    metter un legno su per un bastone,

    e se fusse qualch’un che li cocesse
    e volesse mangiarli in varii modi,
    diria ch’egli non sa mezze le messe.

    I cardi vogliono esser grossi e sodi,
    ma non però sì sodi che sien duri,
    a voler che la gente se ne lodi;

    non voglion esser troppo ben maturi,
    anzi più presto alquanto giovanetti,
    altrimenti non son troppo sicuri;

    sopra tutto bisogna che sien netti;
    e se son messi per la buona via,
    causano infiniti buoni effetti:

    fanno svegliare altrui la fantasia,
    alzan la mente a gli uomini ingegnosi
    dietro a’ secreti dell’astrologia.

    Quanto più stanno sotto terra ascosi,
    dove gli altri cotal diventan vecchi,
    questi diventan belli e rigogliosi.

    Non so quel che mi dir di quelli stecchi
    ch’essi hanno; ma, secondo il parer mio,
    si posson comportar così parecchi,

    perché, poi che gli ha fatti loro Iddio,
    che fa le corna e l’unghie a gli animali,
    convien ch’io m’abbia pazïenza anch’io;

    pur che non sien però di quei bestiali,
    che come li spuntoni stanno intieri,
    tanto che passarebbon gli stivali.

    O Anton Calzavacca dispensieri,
    che sei or diventato spenditore,
    compraci questi cardi volentieri;

    non ti pigliar le cose così a core,
    ma attendi a spender, se tu hai denari;
    del resto poi provederà il Signore.

    Se’ cardi ti paressen troppo cari,
    non gli lasciar, perché non è onesto
    che patischino i ghiotti per gli avari;

    lassa più presto star l’olio e l’agresto,
    il pane, il vin, la carne, il sale e ’l lardo;
    càcciaci drieto tutto quanto il resto

    e per l’amor de Dio dacci del cardo.




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