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    Silvio Pellico

    La Redenzione

    Bibite ex eo omnes.
    (Matth. 26, 27.)


    Uom, chi sei? Non t’inganni l’argilla
    Ov’hai stigma d’obbrobrio e di morte.
    In quel fral maledetto sfavilla
    Una luce che a Dio somigliò.
    Spaventosa e sublime parola!
    Dio nell’uom crea di luce uno spirto,
    Che dovunque Dio s’alzi trasvola,
    Che l’abbraccia, che in lui tutto può.

    Antichissima colpa ed oscura
    Dal felice cospetto del Padre
    Quell’altissima un dì creatura
    Discacciò, preda a vermi e dolor.
    Disputar colle belve la terra
    L’uom fu visto, alle belve agguagliato;
    Gli elementi gli mossero guerra,
    Nulla il vinse: egli grande era ancor.

    Ma più grande il fe’ guardo d’amore
    Ch’ei pentito osò volgere al cielo:
    Da quel guardo fu preso il Signore,
    Scese un giorno, e coll’uomo s’unì.
    Non fu tolta alla colpa ogni pena
    Per giudizio ineffabil del Santo,
    Ma la coppa del duol fu ripiena
    Di quel Dio che coll’uomo patì.

    Da quel giorno s’inchina al mortale
    Ogni mente che inchinisi a Dio,
    Perch’entrambo con palpito eguale
    Condivisero gaudio e martìr.
    Da quel giorno gli spirti del cielo,
    Cui straniera fu sempre sventura,
    Santa invidia portaro all’anelo
    Che per Dio può con gioia morir.

    Dal suo abisso l’eterno perduto
    Leva il capo, e con perfido ghigno
    Grida: — Vieni, o tu forte caduto!
    A me vieni, io de’ forti son re!
    E il fellon nega un Dio salvatore;
    Ma il mortale a quell’empio risponde:
    — Sento ignota virtù nel dolore,
    Ciò mi svela che il Provvido v’è!

    Sì, v’è Dio, l’adorabile, il forte!
    Fatto l’uom a sua immagine avea:
    Ei dell’uom meritevol di morte
    Fessi immagine, e a sè il rïunì.
    Oh magnanimo, a tanta bassezza
    Sceso sei per restarne vicino!
    Più non nuoce, no, morte, se spezza
    L’incantesmo che a te ne rapì.

    Oh mio Dio! più di morte, crudele
    È il dolor che dividemi il core,
    Ma il dolor convertì l’infedele,
    Anco i giusti migliora il dolor.
    Vero è il fatto, innegabil, tremendo:
    Non v’è in terra virtù senza pianto.
    Ecco il seno: ah! ch’io t’ami piangendo!
    Ecco il lacera, il lacera ancor!

    Benchè al misero umano intelletto
    Sollevar non sia dato quel velo,
    Onde piace a colui ch’è perfetto
    Di sue vie le cagioni coprir,
    Pur traspar sapïenza divina,
    Tra la nube dell’alto mistero,
    In quel lutto che l’anime affina,
    In quel Dio che per noi vuol morir;

    In quel nobile amor d’un fratello
    Che patisce per empi fratelli;
    In quel gran, di giustizia, modello
    Che ad un tempo è increato e mortal!
    In quel senno che sembra follia,
    Ed è stimolo a somme virtudi,
    Che qual ombra fugò idolatria,
    Che fra tutti i nemici preval!




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