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    Francesco Moneti

    Canto 2

    ARGOMENTO

    A Cortona ne va, dove aspettato
    E’ il Padre Missionario Gesuita;
    Quivi da molta gente accompagnato
    In chiesa tutti esorta a mutar vita.
    Dal Popolo per santo è già spacciato;
    Vieti dall’Autor l’ipocrisia schernita,
    E dal Padre zelante con rigore
    Vien fatto un lavacapo a Monsignore
    .

    Ognuno in questo Mondo tal si tiene,
    Che perfetto si stima in ogni cosa;
    E nessun vuol, se mal’oprando viene,
    Ripreso esser col verso o con la prosa.
    Ma la superbia che dall’uom proviene
    Col suo strano capriccio ognor si sposa:
    L’error per opra degna, e il mal ben fatto
    Chi spalle ha di somar sostiene in atto.

    So ben che alcun dirà del fatto mio,
    Che poeta mi tien da due baiocchi,
    Che sono un pazzo da catena; ed io
    Non glielo nego, pur che a lui ne tocchi:
    Il Pegaseo per me non ha il restìo,
    Nè le spronate m’han rotto i ginocchi;
    Ma questo giuoco voglio che fra noi
    Finisca, e vada il marcio a doi a doi.

    Ora di biasmo alcune voci sento
    Di certi Gabellieri degl’impacci,
    Che de’versi di amor aman l’accento,
    Stimando opra da ciechi i miei versacci;
    Ma col darmi di naso a lor talento
    Le freghe al tafanario ognun mi facci,
    Come fanno i ragazzi alle cicale,
    Perch’io canti di loro, o bene o male.

    Ma già di mie promesse or la memoria
    Propon di nuovo a me la tela ordita,
    Con esortarmi a proseguir l’istoria
    Del nostro Missionario Gesuita.
    Musa, ridimmi con qual festa e gloria
    Venne costui a riformar la vita
    Della viziosa e scellerata gente,
    Mentre n’ebbe dal Papa la patente.

    Scritto ch’ebbe a Cortona il suo disegno,
    E che il Popolo stava preparato,
    Giunto quel giorno memorando e degno
    D’esser dagl’osti col carbon notato,
    Con le campane di letizia il segno,
    Ed insieme l’avviso a tutti dato,
    Che il Padre Santo appunto allor veniva,
    Gorser tutti gridando, e viva e viva.

    La gente con la Croce in compagnia
    Andò fuor della porta ad incontrarlo,
    E come fosse stato il Gran Messia,
    Il Popolo si vide accompagnarlo:
    Vero ritratto dell’ipocrisia
    Propriamente pareva a rimirarlo,
    Con passo grave, ed occhi in terra fissi,
    Brutto e malfatto, come già il descrissi.

    E per accompagnare il collo torto
    Ed il pallor della destrutta cera,
    Mostrando in se spiritual conforto,
    Fuor della porta già scalzato s’era:
    Ma fu da molti poi squadrato, e scorto
    Non essser bestia da spacciare in fiera;
    Sicchè ad altri potea la mercanzia
    Vendere di sua falsa ipocrisia .

    Giunto alla Cattedral quivi si pose
    Con quella gente alquanto in orazione;
    Dipoi salito in pulpito, compose
    La vita, il gesto, e quindi alle persone
    Fatto modesto inchino, ivi gli espose
    Di sua venuta il quare e la cagione:
    Tenendo poscia in lor le luci affisse,
    Sputò tre volte in terra, e cosi disse:

    Fratelli miei, che con devota brama
    Della santa Mission cercate i frutti,
    Si vede ben che Iddio oggi vi chiama
    Per sua pietà; che se i nefandi e brutti
    Vizi lasciate, egli ch’è buono, e v’ama,
    Pronto si mostra a perdonare a tutti:
    Ond’io per far delle vostre alme acquisto
    Scalzo ne venni, come avete visto.

    Questa santa Mission dunque volete
    Ricever, non è vero? or così sia:
    Lasciate ormai la strada che tenete,
    Che insegnar vi vogl’io la vera via;
    Se i falli vostri poi confesserete,
    Prometto a tutti, e giuro in fede mia,
    Per gli Angioli del Ciclo e tutti i Santi,
    Ch’anderete alla Gloria tutti quanti.

    Se tra le colpe avete poi smarrita
    L’anima vostra, e quivi in esse immersa
    Per tant’anni si trova, onde spedita
    La stimate per voi, e quasi persa;
    Ecco per ritrovarla a voi s’addita
    La via del Cielo assai pulita e tersa:
    Che se da febbre indebolita langue
    Sanguinosa, son io per trarli sangue.

    Col mezzo de’flagelli e discipline
    Cavate dalle vene il sangue infetto,
    Battete quelle carni alabastrine,
    Che conservano un cor di sasso in petto:
    Stracciate omai l’inanellato crine
    Che qual catena del mondano affetto
    Vi tiene schiavi; e con perrucche ornati,
    Belli vi fa parer, benchè pelati.

    Un mezzo ancora a voi per far buon frutto
    È il dispensare il vostro a’poveretti,
    Che parte avrete, se donate il tutto,
    In Paradiso poi tra i più perfetti:
    Se il patrimonio avete già distrutto,
    Siete con tutto ciò figli diletti
    Dell’amoroso Padre di Famiglia,
    Ch’ ad abbracciarvi è pronto, e vi ripiglia.

    Voglio finire in nome del Signore,
    A voi, fratelli miei, mi raccomando,
    Mentre senza posar per vostro amore
    Starò sempre per voi affaticando;
    Risolvetevi intanto di buon cuore
    A dare ad ogni vizio eterno bando,
    Acciò che l’alma al Ciel ritorni amica:
    Andate in pace, e Dio vi benedica.

    Tra molta calca alfine escì di Chiesa,
    Tutti dicendo, sia pur benedetto.
    Quando l’ipocrisia fatto ha la presa,
    E che l’uomo acquistato ha buon concetto,
    Gran devozione il Mondo a lui palesa,
    In cui stima virtù fino il difetto ;
    Che se far gli vedesse un sacrilegio,
    Lo stimerebbe in esso un privilegio.

    Oh maladetta e vana ipocrisia,
    Che nata fra le corna d’Asmodeo
    T’annidasti nel sen di gente ria,
    Che faccia ha di Cristiano e cuor d’Ebreo!
    Alla Chiesa vai sol per parer pia,
    Ove fai l’orazion del Fariseo;
    Ma colui che ti crede, addosso tiene
    Assai più del minchion, che d’uom da bene.

    Predicare il digiuno a ventre pieno,
    Predicar l’umiltà col fumo in testa;
    Predicar la pazienza un che nel seno
    Con l’ira ed odio la vendetta innesta,
    Predicar carità chi del veleno
    D’invidia offeso ed infettato resta,
    Predicar bene un ch’è di mala vita;
    È funzione e finzion di chi t’imita.

    Per non toccar la parti vergognose
    Nell’orinar cuoprir la man co’guanti,
    Ma nella roba altrui non già ritrose
    Scuoprir con nuda man l’unghie raspanti;
    Tu visiti gl’infermi, e le lor cose
    Sperando, raccomandi a tutti i Santi;
    E se la roba gli è di grave peso
    Serve tua santa man di contrappeso.

    Scimmia de’Santi in pubblico ti fai,
    Ti scandolezzi, e contro il vizio esclami;
    Fingi quella bontà che in te non hai,
    Ed il Mondo fuggir, che segui ed ami ;
    Di rifiutare e non voler giammai
    Ciò che con appetito e cerchi e brami:
    Ma Dio ci guardi da colui che finge
    Nulla volere, e il tutto abbraccia e stringe.

    Acciò che il Mondo poi alfin ti adori,
    Le lampane t’accenda e le candele,
    Col ratto nelle man gli altrui tesori
    Contempli, e fai che nel tuo cuor si cele;
    Fingi estasi e visioni, e i tuoi ristori
    Esser solo castagne e fichi e mele,
    E con la carne poi ti mostri dura
    Nel gustarla talor contro natura.

    Ti fai veder con pallido sembiante,
    Col collo torto ed occhio in terra fisso,
    Bocca ripiena di parole sante,
    Con la corona in mano e il Crocifisso :
    Ma se nel Mondo oggi tornasse Dante,
    Gli converrebbe giù nel cieco abisso
    Nuova bolgia trovare, e più capace,
    Per dare il luogo ad ogni tuo seguace.

    Fuggite or tutti chi costui imita,
    Perchè sol cerca di gabbare il Mondo,
    E il bacchetton che par di buona vita
    Stimate pure un animale immondo.
    Precursor di Anticristo, alma smarrita
    E spirito del baratro profondo:
    Non alberga la vita in corpo morto;
    Nemmeno anima retta in collo torto.

    Non già per mano del crudel Nerone,
    O di altri fieri e pessimi Tiranni,
    Con la terribil sua persecuzione
    Potè far Satanasso in que’primi anni
    Nella Chiesa di Dio tal distruzione,
    Come egli fa co’suoi più fini inganni,
    Oggi per mezzo dell’ipocrisia
    Che mostra il Cielo, e dell’Inferno è via.

    Ma per tornar al nostro Gesuita
    Che fuor di Chiesa ho poco fa lasciato,
    Nel raccontarvi la di lui uscita
    Da quella, dopo ch’ebbe predicato;
    Mentre alla casa a riposar sua vita
    Vien condotto, e da’Preti accompagnato,
    Parmi ben il dover, che per creanza
    L’accompagni ancor io alla sua stanza.

    Quivi però voglio lasciarlo adesso,
    Perchè già stanco possa riposare;
    Acciò che poi studiar gli sia permesso,
    E le prediche sue ben imparare:
    Egli però, che in questo èra indefesso,
    In confession si mise ad ascoltare
    I peccatori, e con sua penitenza
    Pettinava a ciascuno la coscienza.

    Or mentre lui nel confessar procura
    La salute d’ognun che ascolta e sente,
    E con bravate ogni coscienza dura
    Rende poi ammollita in chi si pente;
    Un grillo, temerario per natura,
    Mi salta in capo e mi riduce in mente
    Del Vescovo i costumi, ed occasione
    Certamente ne porge la Missione.

    Viveva allora un certo Monsignore,
    Che Filippo per nome era chiamato,
    Qual sebben di Cortona era Pastore,
    Mostravasi però lupo affamato;
    Poichè con il rapace suo furore
    Ridusse il Clero in sì cattivo stato,
    Che si può dir che fece un Galileo
    Peggio che Armeni a San Bartolommeo

    Al picciol corpo, alla statura bassa
    In lui s’accompagnò l’animo vile,
    L’ingegno acuto e la coscienza crassa,
    Un cervello incostante e puerile:
    E la natura in lui fece una massa
    Del criminale insieme e del civile;
    Fu buon Legista, e il giusto discerneva,
    Ma solamente quando a lui pareva.

    Il Codice accordava col Digesto,
    E nel tenere a banco la ragione
    Avea ridotto d’ogni Legge il Testo
    Alla natura della conclusione.
    Cavò Graziano e Bartolo di sesto
    Per mezzo del paragrafo boccone,
    E decideva ogni difficil punto
    Come Vescovo sol per esser unto.

    Coll’interesse avea stretta amicizia,
    E San Pietro onorò come Simone;
    La sola cupidigia e l’avarizia
    Serviro in lui di stimolo e di sprone
    Per far correr di trotto la giustizia,
    E far ben spesso nell’ordinazione
    Fare al villan per un capretto grasso
    Dall’aratro all’altare un breve passo.

    Il merto e la ragion poco stimava,
    Se d!oro non avean le sopravvesti,
    Per chi poveramente si portava
    Rivoltava la Legge tra i Digesti:
    Solamente benigno a chi donava
    In parole mostrossi, in fatti e in gesti;
    E per pigliar merlotti alla civetta
    Avea la rete di San Pietro eletta.

    Cangiò la mitria in borsa, e il pastorale
    la una falce che levava il pelo:
    Se i vizi suoi celò sotto il piviale,
    Pose agli altrui con l’avarizia il velo;
    E dimostrò che in rimediare al male
    Dell’interesse lo mangiava il zelo:
    De’Sacramenti pure il settenario
    Numero giunger fe’fino al denario.

    Del tutto già informato il Gesuita
    Gli fece un solennissimo sermone
    E la di lui sì licenziosa vita
    Gli rinfacciò con aspra riprensione;
    E se non la facea ormai finita
    Minacciogli l’eterna dannazione,
    Perch’era nel conceder la patente
    Per interesse sol troppo indulgente.

    Un giorno dunque andato all’udienza
    Prima che cominciasse la Missione,
    Per ottener da lui buona licenza,
    O facoltade o sia benedizione,
    Dopo le ceremonie e riverenza
    A fargli cominciò colal sermone:
    Illustrissimo, sol quattro parole
    Dir qui vorrei fra noi, se non vi duole.

    Dite pur, Padre, egli rispose allora;
    E questi disse: Voi saper dovete,
    Che per tutto il paese, e dentro e fuora
    Poco buon nome fra la gente avete,
    Perchè per odio ed avarizia ancora
    Pelate chi si sia, o Frate o Prete,
    E vi tien la città, che vi scrutina,
    Per un pretaccio della cappellina.

    Se vi ho da dire il vero, i cittadini
    Vi tengon per un uom di poca fede;
    I poveretti, artieri e contadini
    Dicon che gli frodate la mercede,
    Che avete l’unghie a guisa degli oncini,
    E questa gente in somma non vi crede,
    Se non quando vi sente bisbigliare
    Domine non sum dignus all’Altare.

    Dicono tutti, che voi dite e fate,
    Dicono che dovunque ognor voi siete,
    Dicono ancor che la parola date,
    Dicono poi che non la mantenete;
    Dicon poi che da lupo voi trattate,
    Dicon che da pastor far non sapete;
    E di più, che voi siete un aguzzino
    Che scorticate un uom per un quattrino.

    Nella vendetta siete un uomo ardente,
    Per dimostrarvi nato cavaliero,
    Ma troppo dolce poi ed indulgente
    In permetter lo stupro e l’adultero;
    Che il sacerdozio troppo largamente
    Voi conferite, e dicono che in vero
    Per pigliar benchè minima cosuccia
    Ordinereste il gatto e la bertuccia.

    Voi ammettete il finto patrimonio,
    Senza stimare i Canoni e il Concilio,
    Ed in Giudizio il falso testimonio
    Fa che voi giudicate absque consilio.
    Onde vi aspetta presto il rio Demonio
    Dove spedito Enea fu da Virgilio;
    E il Pastoral vi servirà per ponte,
    O remo per la barca di Caronte.

    Voi per essere ingordo e troppo avaro
    Coi poverelli vi mostrate un cane,
    Voi date cura d’anime al somaro,
    Ed agl’indegni dispensate il pane:
    Ebrei con Spie d’intorno avete caro,
    Li Sbirri accarezzate e le Puttane;
    Onde il palazzo vostro è fatto ospizio
    D’ogni più tristo e più nefando vizio.

    Commedie poi, festini e mascherate
    Senza vostra presenza non si fanno,
    E per il male esempio che lor date
    Bel tempe i vostri Preti anche si danno;
    E poi se vanno soli, condannate
    I Frati alla prigion, e tutti sanno
    Che voi come se foste un secolare
    Vi trovate con donne anche a ballare.

    Oh Dio! com’esser può ch’oggi si scuopra
    Di cervello sì scarso un uomo dotto,
    Mentre alla cieca si governa, ed opra
    Come se fosse un’Idiota indotto,
    Senza timor di quel che sta di sopra,
    Senza terror di quel che sta di sotto;
    Fa coll’offizio suo si mal’inteso
    D’ogni erba un fascio, e d’ogni lana un peso.

    Questa non è la strada, o Monsignore,
    Questo viver non è da buon Cristiano,
    Questo fare non è da buon Pastore,
    Questo vostro non è governo umano;
    Questo non è ’l servizio del Signore,
    Questo non è per voi consiglio sano;
    Ma un procacciarsi nel futuro inverno
    Un fuoco da scaldarvi in sempiterno.

    Ricordatevi omai ch’avete a andare
    A render conto a Dio d’ogni misfatto
    Se vi dan le candele or da mangiare,
    Ne cacherete gli stoppini a un tratto.
    Padre, rispose lui, che devo fare?
    Che cosa faccio adesso, e che ho mai fatto?
    Siete Pastor, diss’egli, e s’io nol mostro,
    Ben sapete qual sia l’obbligo vostro.

    Cosi finito ch’ebbe di parlare
    Licenziossi da lui, ma prima chiede
    Licenza e facoltà di predicare;
    Egli ampiamente tosto gliela diede.
    Subito egli si accinse ad operare,
    Per risarcir la mal trattata Fede;
    Al che diede principio il di seguente
    Con far gran frutto in convenir la gente.

    Ed io lo voglio qui lasciar, fintanto
    Che la Predica ben a mente impari,
    Per farvi poscia udir nell’altro Canto
    Ciò che disse e parlò con sensi chiari.
    Or mentre ch’io riposerommi alquanto
    Ciaschedun di voi altri si prepari
    A sentir nella Chiesa Cattedrale
    Una Predica sua tutta morale.


    Cortona convertita




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