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    Fulvio Testi

    Ruscelletto orgoglioso

    Al Conte Raimondo Montecuccoli.
    In biasimo de’ Grandi superbi


    Ruscelletto orgoglioso,
    Ch’ignobil figlio di non chiara fonte
    Un natal tenebroso
    Avesti intra gli orror d’ispido monte,
    E già con lenti passi
    Povero d’acque isti lambendo i sassi.
    Non strepitar cotanto,
    Non gir sì torvo a flagellar la sponda,
    Ché benché Maggio alquanto
    Di liquefatto gel t’accresca l’onda,
    Sopraverrà ben tosto
    Essiccator di tue gonfiezze Agosto.
    Placido in seno a Teti
    Gran Re de’ fiumi il Po discioglie il corso,
    Ma di velati abeti
    Macchine eccelse ognor sostien sul dorso,
    Né per arsura estiva
    In più breve confin stringe sua riva.
    Tu le gregge e i Pastori
    Minacciando per via spumi e ribolli,
    E di non proprj umori
    Possessor momentaneo il corno estolli,
    Torbido obliquo, e questo
    Del tuo sol hai, tutto alieno è il resto.
    Ma fermezza non tiene
    Riso di cielo, e sue vicende ha l’anno:
    In nude aride arene
    A terminar i tuoi diluvj andranno,
    E con asciutto piede
    Un giorno ancor di calpestarti ho fede.
    So che l’acque son sorde;
    Raimondo, e ch’è follia garrir col Rio;
    Ma sovra Aonie corde
    Di sì cantar talor diletto ha Clio,
    E in mistiche parole
    Alti sensi al vil volgo asconder suole.
    Sotto ciel non lontano
    Pur dianzi intumidir torrente i’ vidi,
    Che di tropp’acque insano
    Rapiva i boschi e divorava i lidi,
    E gir credea del pari
    Per non durabil piena a’ più gran mari.
    Io dal fragor orrendo
    Lungi m’assisi a romit’Alpe in cima,
    In mio cor rivolgendo
    Qual’era il fiume allora e qual fu prima,
    Qual facea nel passaggio
    Con non legittim’onda a i campi oltraggio.
    Ed ecco il crin vagante
    Coronato di lauro e più di lume
    Apparirmi davante
    Di Cirra il biondo Re Febo il mio Nume,
    E dir: Mortale orgoglio
    Lubrico ha il regno, e ruinoso il Soglio.
    Mutar vicende e voglie,
    D’instabile fortuna è stabil’arte;
    Presto dà, presto toglie,
    Viene e t’abbraccia; indi t’abborre e parte;
    Ma quanto sa si cange:
    Saggio cor poco ride e poco piange.
    Prode è ‘l Nocchier, che ‘l legno
    Salva tra fiera Aquilonar tempesta;
    Ma d’egual lode è degno
    Quel ch’al placido mar fede non presta,
    E dell’aura infedele
    Scema la turgidezza in sparse vele.
    Sovra ogni prisco Eroe
    Io del grande Agatocle il nome onoro,
    Che delle vene Eoe
    Ben sulle mense ei folgorar fe’ l’oro,
    Ma per temprarne il lampo,
    Alla creta paterna anco diè campo.
    Parto vil della terra
    La bassezza occultar de’ suoi natali
    Non può Tifeo: pur guerra
    Move all’alte del Ciel soglie immortali.
    Che fia? Sott’Etna colto
    Prima che morto ivi riman sepolto.
    Egual fingersi tenta
    Salmoneo a Giove allor che tuona ed arde;
    Fabbrica nubi, inventa
    Simulati fragor, fiamme bugiarde,
    Fulminator mendace
    Fulminato da senno a terra giace.
    Mentre l’orecchie i’ porgo
    Ebbro di maraviglia al Dio facondo,
    Giro lo sguardo e scorgo
    Del Rio superbo inaridito il fondo,
    E conculcar per rabbia
    Ogni armento più vil la secca sabbia.




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