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    Galileo Galilei

    Sonetto per una cena data da alcuni Lettori dell'Università di Pisa a certi scolari loro amici

    OH poveri Dottor malarrivati!
    Voi siete stati pure i bei minchioni
    A dare agli scolar tanti Capponi
    Con ristio d'esser tutti condennati.
    Qui non si guarda che si sien mandati
    Editti, bandi, proibizioni;
    Qui non val nulla monsignor Capponi:
    Per dio n'avete ad esser gastigati.
    Venite qua; non è una vergogna
    Un vituperio espresso, una pazzia,
    Un obbrobrio da mitera e da gogna,
    Avere i polli in casa e dargli via,
    Senza ragione e quando non bisogna,
    A chi viene a cantar la Befania?
    E poi a una genia,
    Che per saziar loro ingordigia interna
    Avrian data la stretta a vita eterna?
    In questa lor taverna,
    Cioè congrega di gran tavernieri
    Hanno condotto un Conte ed un Alfieri,
    Che son due masnadieri
    Chè s'un de' ghiotti è re, l'altro è monarca;
    Guai a colui che con costor s'imbarca!
    S'egli entravan nell'arca,
    Dove campò Noè co' suoi parenti
    E con tutte le razze de' viventi,
    Non crediate altrimenti,
    Che le spezie si fosser propagate,
    Che si poteva dir le son sonate;
    Perchè queste brigate
    Non pur mangiavan le starne e gli storni,
    Le pecore, le capre, i liocorni,
    Ma in que' quaranta giorni
    Asini e buoi morivan tutti quanti
    Orsi, draghi, serpenti, e liofanti.
    Hanvi poi tanti e tanti
    Cavalier da far prove memorande
    Intorno ai piatti, intorno alle vivande,
    Che saria cosa grande
    Dir del Minelli l'ingordigia orrenda,
    O del Sertin da quella gran faccenda;
    Dir la furia tremenda,
    Un rasciugar di piatti e d'altri vasi
    Del Ansaldi, del Medici, e del Masi:
    Hannovi anco quel Rasi,
    Di questo non occorre far parola,
    Perchè ognun sa ch'ei tira ben di gola.
    Or da costor m'invola
    Con quel bocchino, e coi leggiadri sguardi
    Quel tristo Trafuriel di Carlin Bardi,
    Che venne alquanto tardi,
    Essendo stato fino alle tre ore,
    Non so, dal Confessore, o dal Dottore,
    E vi giuro di cuore,
    Che mi parea con quello spadaccino
    Qualche San Giorgio, o qualche San Martino.
    Evvi anco un Lupicino,
    Che divora trangugia anzi tracanna,
    Il nome solamente lo condanna.




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