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    Giacomo Leopardi

    Appressamento della morte - Canto V

    Dunque morir bisogna, e ancor non vidi
    Venti volte gravar neve ’l mio tetto,
    Venti rifar le rondinelle i nidi?

    Sento che va languendo entro mio petto
    La vital fiamma, e ’ntorno guardo, e al mondo
    Sol per me veggo il funeral mio letto.

    E sento del pensier l’immenso pondo,
    Sì che vo ’l labbro muto e ’l viso smorto,
    E quasi mio dolor più non ascondo.

    Poco andare ha mio corpo ad esser morto.
    I’ mi rivolgo indietro e guardo e piagno
    In veder che mio giorno fu sì corto.

    E ’n mirar questo misero compagno
    Cui mancò tempo sì ch’appien non crebbe,
    Dico: misero nacqui, e ben mi lagno.

    Trista è la vita, so, morir si debbe;
    Ma men tristo è ’l morire a cui la vita
    Che ben conosce, u’ spesso pianse, increbbe.

    I’ piango or primamente in su l’uscita
    Di questa mortal piaggia, che mia via
    Ove l’altrui comincia ivi è finita.

    I’ piango adesso, e mai non piansi pria:
    Sperai ben quel che gioventude spera,
    Quel desiai che gioventù desia.

    Non vidi come speme cada e pera,
    E ’l desio resti e mai non venga pieno,
    Così che lasso cor giunga la sera.

    Seppi, non vidi, e per saper, nel seno
    Non si stingue la speme e non s’acqueta,
    E ’l desir non si placa e non vien meno.

    Ardea come fiammella chiara e lieta,
    Mia speme in cor pasciuta dal desio
    Quando di mio sentier vidi la meta.

    Allora un lampo la notte m’aprio,
    E tutto cader vidi, allor piagnendo
    Ai miei dolci pensieri i’ dissi: addio.

    Già l’avvenir guardava, e sorridendo
    Dicea: Lucida fama al mondo dura,
    Fama quaggiù sol cerco e fama attendo.

    Misero ’ngegno non mi die’ natura.
    Anco fanciullo son: mie forze sento:
    A volo andrò battendo ala sicura.

    Son vate: i’ salgo e ’nver lo ciel m’avvento,
    Ardo fremo desio sento la viva
    Fiamma d’Apollo e ’l sopruman talento.

    Grande fia che mi dica e che mi scriva
    Italia e ’l mondo, e non vedrò mia fama
    Tacer col corpo da la morta riva.

    Sento ch’ad alte imprese il cor mi chiama.
    A morir non son nato, eterno sono
    Che ’ndarno ’l core eternità non brama.

    Mentre ’nvan mi lusingo e ’nvan ragiono,
    Tutto dispare, e mi vien morte innante,
    E mi lascia mia speme in abbandono.

    Ahi mio nome morrà. Sì come infante
    Che parlato non abbia i’ vedrò sera,
    E mia morte al natal sarà sembiante.

    Sarò com’un de la volgare schiera,
    E morrò come mai non fossi nato,
    Nè saprà ’l mondo che nel mondo io m’era.

    Oh durissima legge, oh crudo fato!
    Qui piango e vegno men, che saprei morte,
    Obblivion non so vedermi allato.

    Viver cercai quaggiù d’età più forte,
    E pero e ’ncontr’ a Obblio non ho più scampo,
    E cedo, e me trionfa ira di sorte.

    Morir quand’anco in terra orma non stampo?
    Nè di me lascerò vestigio al mondo
    Maggior ch’in acqua soffio, in aria lampo?

    Che non scesi bambin giù nel profondo?
    E a che se tutto di qua suso ir deggio,
    Fu lo materno sen di me fecondo?

    Eterno Dio, per te son nato, il veggio,
    Che non è per quaggiù lo spirto mio,
    Per te son nato e per l’eterno seggio.
    Deh tu rivolgi lo basso desio
    Inver lo santo regno inver lo porto.
    O dolci studi o care muse, addio.

    Addio speranze, addio vago conforto
    Del poco viver mio che già trapassa:
    Itene ad altri pur com’i’ sia morto.

    E tu pur, Gloria, addio, che già s’abbassa
    Mio tenebroso giorno e cade omai,
    E mia vita sul mondo ombra non lassa.

    Per te pensoso e muto alsi e sudai,
    E te cerca avrei sempre al mondo sola,
    Pur non t’ebbi quaggiù nè t’avrò mai.

    Povera cetra mia, già mi t’invola
    La man fredda di morte, e tra le dita
    Lo suon mi tronca e ’n bocca la parola.

    Presto spira tuo suon, presto mia vita:
    Teco finito ho questo ultimo canto,
    E col mio canto è l’opra tua compita.

    Or bianco ’l viso, e l’occhio pien di pianto,
    A te mi volgo, o Padre o Re supremo
    O Creatore o Servatore o Santo.

    Tutto son tuo. Sola Speranza, io tremo
    E sento ’l cor che batte e sento un gelo
    Quando penso ch’appressa il punto estremo.

    Deh m’aita a por giù lo mortal velo,
    E come fia lo spirto uscito fore,
    Nol merto no, ma lo raccogli in cielo.

    T’amai nel mondo tristo, o sommo Amore,
    Innanzi a tutto, e fu quando peccai,
    Colpa di fral non di perverso core.

    O Vergin Diva, se prosteso mai
    Caddi in membrarti, a questo mondo basso,
    Se mai ti dissi Madre e se t’amai,

    Deh tu soccorri lo spirito lasso
    Quando de l’ore udrà l’ultimo suono,
    Deh tu m’aita ne l’orrendo passo.

    O Padre o Redentor, se tuo perdono
    Vestirà l’alma, sì ch’io mora e poi
    Venga timido spirto anzi a tuo trono,

    E se ’l mondo cangiar co’ premi tuoi
    Deggio morendo e con tua santa schiera,
    Giunga ’l sospir di morte, e poi che ’l vuoi,

    Mi copra un sasso, e mia memoria pera.




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