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    Giovanni Pascoli

    In morte di Alessandro Morri

    Chi sa dov’or si trovi il pellegrino
    che s’è partito e non ritorna più?
    Sta scritto nel volume del destino
    una parola solitaria: ei fu.
    Ei la morta fiumana dell’oblìo
    cinta intorno di salici ha guadata;
    ma l’altra riva è là tutta ingombrata
    di fìtta nebbia che si chiama: Dio!

    E l’uomo intanto, cavalier fatato,
    in groppa del suo giovane pensier,
    nel castel di fantasime incantato
    cerca indarno il perduto passegger!
    E galoppa, da secoli galoppa
    l’umana fantasia verso quel nulla!...
    La morte che ghignò sulla sua culla
    or sorridendo se gli asside in groppa.

    Stridon, fratelli miei, le foglie a terra;
    il sole è avvolto da funereo vel!
    Ditemi, i morti infradician sotterra,
    o qualche cosa n’evapora al ciel?
    O tu, che or mo’ fra queste piante erravi,
    che polve or sei fra quattro assi d’abete,
    sei tu pur giunto a le contrade liete
    a cui penosamente sospiravi?

    Ower, mio forte amico, ora è destino
    che putre fango e cenere sii tu?...
    Chi sa dov’or si trovi il pellegrino
    che s’è partito e non ritorna più!
    Eppur ti vidi pensator poggiare
    su l’ippogrifo tuo stellante al cielo,
    e a rote larghe tra di nubi un velo,
    vanir come vascello in alto mare.


    1875.




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