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    Giulio Perticari

    Canzone alla greca in onore dell'invitto martire Sant'Ermete

    STROFE

    Qual di Sionne il colle
    Saldo è colui, che nel suo Dio confida,
    Non d'oste irata il crolla impeto folle
    Se sotto i cedri del Signor s'annida;
    Qual vetro, al piè gli caggiono
    Di Filiste gli scudi, e i brandi infranti,
    E le saette per lo dì volanti.

    ANTISTROFE

    Insovvertibil, salda
    Qual s'eresse mai torre, a par d'ERMETE?
    Pendon lordi di polve, e strage calda
    Gli acciar de' forti da la sua parete;
    Ov'è il castel di Davide,
    Cui di Soba domata e l'elmo, e l'arco,
    Fean con targhe ben mille orrendo incarco?

    EPODO

    Torre di bronzo egli è tutta n'escìo
    L'ira, e il poter di Dio,
    Il dì, che le frementi
    Al sotterraneo Pluto alme devote,
    E le nude ei spregiò spade pendenti,
    I fuochi, i ceppi e le fiammanti rote;
    Quando pugnò terribile
    Siccome campo armato
    Fuor delle tende in ordine
    A battagliar schierato,
    Quando tra i ferri estinto
    Cadde; e non cadde vinto.

    STROFE

    E l'auro, e i fasci alteri,
    E i seggi del Tarpeo sossopra ei mesce,
    Invan fremono l'armi, ed i guerrieri,
    Che la fiamma del ciel da gli occhi gli esce;
    Vedil svolgente il civico
    Allor sudato da la mista chioma
    Calcar col piè la maestà di Roma.

    ANTISTROFE

    Viderlo, e vacillaro
    Dai sette colli entro i delubri i numi,
    Distillarne gli avori, e i bronzi amaro
    Il pianto, e lordo odor dietro i profumi:
    Atterrito l'aruspice
    L'ostie mirò più portentose, rochi
    Gli augei sacrati, e in sangue tinti i fuochi.

    EPODO

    L'atleta allor ne la fulminea guerra
    Stese Satan per terra,
    Erger d'orror le chiome
    Fe' di Moabbo ai prenci, e contra il forte,
    Ch'alto il corno squassò, Signor d'Edome
    Impetrò il braccio, onde gl'iniqui han morte:
    Già qual fra vampe stoppia
    L'opra de l'uom si solve;
    I Dei del Campidoglio
    Fumo son già, son polve:
    Su loro il fulmin piomba:
    Ov'ebber soglio, han tomba.

    STROFE

    In su le rosee soglie
    Del giorno eterno si posò il guerriero,
    E al trono de l'Agnel le opime spoglie
    E l'asta appese, e il tremulo cimiero;
    Il capo, e il crin sanguineo
    De l'alta verdeggiò ghirlanda avvinto,
    Un dì mietuta in val di Terebinto.

    ANTISTROFE

    Or degli eterei Campi
    Fra la perpetua pomba alto ei trascorre,
    E Dio rimira passeggiar fra i lampi,
    E i vanni e l'ire ai fulmini disciorre:
    Deh! tu, che il miri, placalo,
    Tu il folgor spegni, che su noi s'aggira;
    Tu in Dio cangia di pace il Dio de l'ira.

    EPODO

    Mal nati noi, s'ira persiste irata!
    Ahi tutta orba, infuocata,
    Arsa vedrem la terra:
    E scossa, e sparsa, ed in se stessa volta
    Tra la fame vedrassi, e tra la guerra
    La protervia degli uomini sepolta.
    Alto ogni mar sommergere
    Vedrem fanti e cavalli,
    Fatte vedrem Pentapoli
    Tutte fumar le valli,
    E a tanto lezzo poco
    L'onde saranno e il foco.

    STROFE

    Me illeso a l'alte cime,
    Me chi trarrà fra le selvette ombrose
    E l'aure e i fonti dell'Ermon sublime?
    Ivi cento nudrii gran palme annose,
    Onde corone intesserne
    Al forte, al divo, e ne l'eterno giorno
    Farne suonar Gerusalemme intorno.

    ANTISTROFE

    Ma qual di mirra odore,
    Qual di nardo odor quest'aura innonda!
    Come doppio raggiar veggo il fulgore,
    Che sa l'olivo nutricar feconda!
    Quando in tal giorno addoppiano
    D'incenso, e d'ostie le città, i regnanti!
    Quai fior cosparge il Vaticano, e canti!

    EPODO

    Salve, o gran dì di palme incoronato,
    Figlio di sol beato!
    Per la cilestra spera
    Tu d'ERMETE col nome a l'alba splendi,
    Tu i crin tergendo luminosi a sera
    Col gran nome d'ERMETE al mar discendi;
    Tu allor, che volti in cenere
    Monti cadranno, e campi,
    Tu allor, che in mezzo l'etera
    Non serperan più lampi,
    Le già infrante del tempio ultime mete
    Saprai col nome sorvolar d'ERMETE.




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