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    Isabella Morra

    Quel che gli giorni a dietro

    Quel che gli giorni a dietro
    noiava questa mia gravosa salma,
    di star fra queste selve erme ed oscure,
    or sol diletta l’alma;
    ché da Dio, sua mercé, tal grazie impetro
    che scorger ben mi fa le vie secure
    di gire a lui fuor de le inique cure.
    Or, rivolta la mente a la Reina
    del Ciel, con vera umiltade,
    per le solinghe strade
    senza intrico mortal l’alma camina
    già verso il suo riposo,
    che ad altra parte il pensier non inchina,
    fuggendo il tristo secol sì noioso,
    lieta e contenta in questo bosco ombroso.

    Quando da l’orïente
    spunta l’Aurora col vermiglio raggio
    e ne s’annuncia da le squille il giorno,
    allora al gran messaggio
    de la nostra salute alzo la mente
    e la contemplo d’alte glorie adorno
    nel basso tetto, dove fea soggiorno
    la gran Madre di Dio c’or regna in Cielo.
    Così, godendo nel mio petto umile,
    a lei drizzo il mio stile
    e ’l fral mio vel di roze veste velo
    e sol di servir lei,
    non d’altra cura, al cor mi giunge zelo,
    seguendo le vestigia di colei
    che dal deserto accolta fu tra i Dei.

    Quando da poi fuor sorge
    Febo, che fa nel mar la strada d’oro,
    tutta m’interna e l’allegrezza immensa
    c’ebbe del suo tesoro
    quella che tanta grazia or a me porge;
    ch’io la riveggio con la mente intensa
    mirare il figlio in caritate accensa,
    nato fra gli animai, con pio sembiante;
    e del sangue che manda al petto il core
    nodrire il suo Signore;
    e scerno il duce de l’eterno amante
    sotto povere veste
    spregiar le pompe del vulgo arrogante,
    colui che sol pregiò l’aspre foreste
    e fu fatto da Dio tromba celeste.

    Poi che ’l suo chiaro volto
    alzando, da le valli scaccia l’ombra
    il biondo Apollo col suo altero sguardo,
    un bel pensier m’ingombra:
    parmi veder Giesù nel tempio, involto
    fra saggi, disputar con parlar tardo,
    e lei, per ch’io d’amor m’infiammo ed ardo,
    versar dagli occhi, per letizia, pianto.
    Questi conforti incontra i duri oltraggi
    m’apportan questi faggi,
    lungi schivando di sirene il canto;
    ché per solinghe vie
    il bel gioven, a Dio diletto tanto,
    con le sue caste voglie e sante e pie
    vide il sentier de l’alte ierarchie.

    Alzato a mezo il polo
    il gran pianeta co’ bollenti rai,
    ch’uccide i fiori in grembo a primavera,
    s’alcuno vide mai
    crucciato il padre contra il rio figliuolo,
    così contemplo Cristo, in voce altera
    predicando, ammonir la plebe fera
    e col cenno, del qual l’Inferno pave,
    romper le porte d’ogni duro core,
    cacciando il vizio fore.
    Quanto ti fu a vedere, o Dea, soave
    gli error conversi in cenere
    del caro figlio in abito sì grave?
    Quanto beata fu chi le sue tenere
    membra a Dio consacrò, sacrate a Venere?

    E se l’eterno Foco
    giunge tant’alto ch’al calar rimira,
    ti scorgo, o Signor mio, fra i tuoi fratelli
    senza minaccie od ira
    del tuo amor infiammarli a poco a poco,
    e co’ leggiadri detti e gravi e belli
    render beati e pien di grazia quelli,
    lor rammentando pur la santa pace.
    La gioia del mio cor, ch’amo ed adoro,
    contemplo fra coloro,
    che i santi esempi tuoi raccoglie e tace.
    O via dolce e spedita
    trovata già nel vil secol fallace;
    e chi ’l primiero fu, dal Ciel m’addita
    sol de l’erèmo la tranquilla vita.

    Per voi, grotta felice,
    boschi intricati e rovinati sassi.
    Sinno veloce, chiare fonti e rivi,
    erbe che d’altrui passi
    segnate a me vedere unqua non lice,
    compagna son di quelli spirti divi,
    c’or là su stanno in sempiterno vivi,
    e nel solare e glorïoso lembo
    de la madre, del padre e del suo Dio
    spero vedermi anch’io
    sgombrata tutta dal terrestre nembo,
    e fra l’alme beate
    ogni mio bel pensier riporle in grembo.
    O mie rimote e fortunate strate,
    donde adopra il Signor la sua pietate!

    Quanto discovre e scalda il chiaro sole,
    canzon, è nulla ad un guardo di lei,
    ch’è Reina del Ciel, Dea degli dei.




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