Library / Literary Works

    Mario Rapisardi

    Giustizia

    ELLA passa terribile per la notte. Ne’l vano
    Aere russano i Numi ebbri, e, ruttando umano
    Sangue, con labbra livide e con enfiati colli
    S’arronciglian su’ troni d’oro, come satolli
    Draghi, e sognano. Eterni sognano imperi, opimi
    Sagrificj, solenni voti, altari sublimi
    E fiammeggianti roghi d’umana carne ingordi
    E di pensiero. Intorno a’ loro immani e sordi

    Simulacri di pietra, sotto il lor ferreo soglio
    S’aggrappan le pie turbe, quali murene a scoglio,
    S’aggrappan mugolando lamentose. Sogghigna
    Su’l capo de’ fedeli la figura caprigna
    Di Satana, che al volto de le ciurme tapine
    Crepita, e si fa gioco de le mandrie divine.
    Sorge allora uno strano Briareo del pensiero,
    E il ciel crolla, e de’ Numi rompe i sogni, Voltèro.

    Ed ella passa, passa per la notte. Lojola
    Dice a Pietro: S’è fatta carne la mia parola;
    Io tengo in pugno il mondo, l’anime, Iddio. Se cara
    T’è la vita, se vuoi ch’io lasci a Cristo un’ara,
    Ubbidiscimi: io sono il mistero. L’iniquo
    Infallibile piega la testa su l’obliquo
    Collo, e mormora: Cresce sempre più la baldanza
    Degli empj; è necessaria una santa alleanza,
    Che schiacci l’idra oscena de l’Eresia, che in trono
    Mi rimetta, che bruci, che uccida: io son chi sono.
    Così fremendo ruota come falco gli sguardi
    Su’l Tebro e su la Senna; ma Sarpi grida: È tardi.

    Ed ella passa, passa per la notte. A la voce
    Dolorosa de’ volghi s’accoglie una feroce
    Frotta di re. Digrigna le gialle zanne a sega
    L’orso del Reno, il vecchio mostro che scanna e prega,
    E, da le rosse chiostre saettando la secca
    Lingua, il sangue de’ suoi morti nemici lecca.
    Pigro cala dal Baltico il gigante triforme,
    Che di steppe e di forche vallasi intorno. A torme
    Procombono al suo piede, o Russia, i tuoi migliori,
    Ed ei stupido ciba sangue da tutti i pori.
    Trotta anch’essa al convegno con furbi occhi di volpe
    La strega del Tamigi, che si nutre di colpe,
    Che muta in oro il sangue de l’India, e insegna il dritto
    Con la fame in Irlanda, con le bombe in Egitto.
    L’ale sparnazza e stride la bicipite Arpia
    De l’Istro, e con la verde pupilla i campi spia
    D’Adige e Mincio; inquina con proluvie funesta
    Le sottoposte mense d’Ausonia, e l’aure appesta.
    Ma Soderini in giubba sotto la pioggia sozza
    S’inginocchia, la fronte piega e lo sterco ingozza,
    Mentre fuor da l’ergastolo di Moravia s’affaccia
    Maroncelli, e ti sputa, o madre Italia, in faccia;
    Ed alto su le regie teste scintilla muto
    E scende, scende, scende il pugnale di Bruto.

    Ed ella passa intanto per la notte. Fra l’ara
    E il trono si pompeggia la canaglia preclara,
    La canaglia dal sangue cerulo, che la lercia
    Vita con cartapecore e blasoni rabbercia,
    Che sogna ancor merlate rocche, vassalli e schiavi,
    Che copre le vergogne co’ ritratti degli avi,
    Che su splendide bighe con specchiata burbanza
    Porta ovunque in trionfo la ben culta ignoranza.
    Ma Gracco torna, e lancia una vecchia parola,
    Ma irrompe Euno, ma Spartaco snuda il coltello e vola
    A l’anelate pugne, ma al Sol di luglio gaja
    Di Robespièrre luccica l’instancabil mannaja.

    Ed ella passa, passa per la notte. Sghignazza
    Al suon grave de’ suoi passi la turba pazza
    Ch’à il cervel ne la borsa e l’anima ne l’epa,
    Che al boja dice: salve; ed al povero: crepa;
    Ch’èrta su’l banco traffica l’opra, le forze, il sangue,
    L’onor d’una cenciosa plebe che stenta e langue,
    E scarnando sè stessa, i suoi tiranni impolpa,
    D’un formicajo umano, cui la miseria è colpa,
    La sventura destino, il lamento delitto,
    Un patibol la vita ove Dio l’ha confitto,
    L’error pane de l’anima, un tranello l’inferno,
    La speranza una frode, la giustizia uno scherno...
    Uno scherno? Chi ’l disse? Ella viene, ella passa,
    Ella impugna la scure d’acciar, la face squassa,
    E dal sommo d’un monte, dritta in faccia a l’aurora,
    Grida con bronzea voce di mille tuoni: È l’ora!


    Giustizia, 1883




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