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    Mario Rapisardi

    Le macchine

    Han le macchine industri, onde la schiatta
    Dei vincitori il trono aureo circonda,
    Hanno un’anima anch’esse, una feconda
    Anima, d’infinite anime fatta.

    Sia ch’elettrico alato o vapor denso
    Le metalliche vene empia ed avvivi,
    Sì che anelanti, quali mostri vivi,
    Affatichino al sole il corpo immenso,

    Uno spirito umano, entro a’ feroci
    Visceri attorto, al cielo eromper tenta,
    E dalle ferree bocche ululi e voci
    D’ira e di pianto a’ suoi tiranni avventa.

    «Sempre dunque nell’ombra, in varie forme
    L’altrui materia a fecondar costretto,
    Sprecherò schiavo, anzi giumento abjetto,
    La mia fatica e il mio martirio enorme?

    Pur è mio quest’ingegno, è mia quest’alta
    Forza che terre e mari apre e discorre,
    E nella invan contesa aerea torre
    L’error debella e i numi ultimi assalta!

    Pur son opera mia gli ardui congegni,
    Ond’ha l’avida industria ed armi ed ale!
    E devo io da un Falaride immortale
    Supplizio aver negl’inventati ordegni?

    O monti avversi alle amistanze umane,
    O mostri sui gelosi istmi sedenti,
    Strali d’un bieco dio, fulmini ardenti,
    Chi domò voi non avrà tetto e pane?

    E chi del sangue mio, chi del mio lutto
    Fa cibo e gioco alla viltà natía,
    Godrà, schernendo la miseria mia,
    Del genio mio, del mio supplizio il frutto?»

    Così nella servile opra l’acerbo
    Spirito imprigionato ulula e freme:
    Ghigna dal trono il vincitor superbo,
    Ma il capo abbassa e impallidisce insieme.




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