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    Mario Rapisardi

    Luna sulle nevi

    Batte il notturno vento a la campagna
    L’ondeggiante oliveto, e su le prime
    Nevi de la montagna Passa la fredda luna.
    Da le materne cime Cade la foglia inaridita e smorta,
    E de la corta vigna Su ’1 gelido vial saltan le lepri.
    Fra gl’ispidi ginepri de la siepe
    S’acquatta il cacciatore, Mentre con l’importuno
    Raglio il disturba dal vicin presepe
    Il povero asinel freddo e digiuno.
    Là su 1 romito calle,
    Dove s’incrocia la petrosa via,
    Splende la lampa tremula
    Su ’l candido altarino di Maria;
    Passa tremante e mesto il contadino
    Su ’1 nodoso baston curvo le spalle;
    Dal chiuso pecorile
    Lo provoca uggiolando a la lontana
    L’indocile mastino;
    Egli guardingo passa,
    E mormora una prece, e fa un inchino.
    Vede intanto da l’erta
    L’accesa fenestrella
    De la capanna misera e deserta,
    E pe ’1 noto viale allunga il passo ;
    Ode il murmure incerto e la faccenda
    De la sua famigliola,
    E sente al petto lasso
    Un secreto piacer che lo consola.
    Così verso una dolce iri di pace
    Tende l’umana vita,
    Che su la terra squallida e fugace
    Fiore non porta aprile
    Di salde foglie e di profumo eterno;
    Pari a larva sottile Di sogno mattutino
    Fugge il piacer di nostra instabil sorte
    E perpetua ne incombe ala di verno;
    Ma da la cieca fronte
    Il menzognero vel scioglie la Morte,
    Ed al redento spirito
    Schiude dei vero il libero orizzonte.
    Ah! tu dillo, o secreta
    Visitatrice del mio cor dolente,
    Dolce fanciulla aerea,
    Tu lo ridici al povero poeta!
    Che ti valse il clemente
    Riso del nostro cielo
    E il lampo degli azzurri occhi sereni
    Ed il trapunto velo
    Ed il voto d’amore, ond’eri avvinta,
    Or tu lo sai, che cinta
    Di sempiterni raggi,
    Qual fior sopra l’oceano,
    L’infinita del tempo onda viaggi.
    Pria che degli anni il gelo
    T’inaridisse il core,
    O pia fanciulla, a te fu caro il cielo.
    Così esotico fiore,
    Chiuso in vetro geloso, a l’aere immite
    Sporge la cima tenera,
    Cerca il suo cielo, e muore;
    Uccello doloroso
    Pellegrinante per vario paese
    Cerca così il cortese
    Nido del suo riposo;
    Così striscia lucente
    Di fuggitiva stella
    Guizza, e dilegua a la pupilla intenta:
    Oh! non dite ch’è spenta,
    Non dite ch’è per lei l’ultima sera;
    Dite che viva e bella
    Corre ad illuminar più lieta sfera!
    Io doloroso e solo
    De la memoria tua ravvivo il canto,
    E di celesti immagini
    Il mio lungo aspettar queto e consolo.
    Oh! dimmi, o pia: quanti di questi ancora
    Sono serbati a me giorni di pianto?
    Quanto per questa tenebra
    Affaticando andrò gli occhi miei lassi
    Desiderosi de l’eterna aurora?
    Ah! tu mi guardi e passi,
    Mi guardi e passi, e la serena fronte
    Al pianto mio s’imbruna...
    E fischia il vento intanto, e dietro al monte
    Cade la fredda luna.


    Le Ricordanze




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