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    Pietro Metastasio

    La libertà

    Grazie agl'inganni tuoi,
    al fin respiro, o Nice,
    al fin d'un infelice
    ebber gli dei pietà:

    sento da' lacci suoi,
    sento che l'alma è sciolta;
    non sogno questa volta,
    non sogno libertà.

    Mancò l'antico ardore,
    e son tranquillo a segno,
    che in me non trova sdegno
    per mascherarsi amor.

    Non cangio più colore
    quando il tuo nome ascolto;
    quando ti miro in volto
    più non mi batte il cor.

    Sogno, ma te non miro
    sempre ne' sogni miei;
    mi desto, e tu non sei
    il primo mio pensier.

    Lungi da te m'aggiro
    senza bramarti mai;
    son teco, e non mi fai
    né pena, né piacer.

    Di tua beltà ragiono,
    né intenerir mi sento;
    i torti miei rammento,
    e non mi so sdegnar.

    Confuso più non sono
    quando mi vieni appresso;
    col mio rivale istesso
    posso di te parlar.

    Volgimi il guardo altero,
    parlami in volto umano;
    il tuo disprezzo è vano,
    è vano il tuo favor;

    che più l'usato impero
    quei labbri in me non hanno;
    quegli occhi più non sanno
    la via di questo cor.

    Quel, che or m'alletta, o spiace.
    se lieto o mesto or sono,
    già non è più tuo dono,
    già colpa tua non è:

    che senza te mi piace
    la selva, il colle, il prato;
    ogni soggiorno ingrato
    m'annoia ancor con te.

    Odi, s'io son sincero;
    ancor mi sembri bella,
    ma non mi sembri quella,
    che paragon non ha.

    E (non t'offenda il vero)
    nel tuo leggiadro aspetto
    or vedo alcun difetto,
    che mi parea beltà.

    Quando lo stral spezzai,
    (confesso il mio rossore)
    spezzar m'intesi il core,
    mi parve di morir.

    Ma per uscir di guai,
    per non vedersi oppresso,
    per racquistar se stesso
    tutto si può soffrir.

    Nel visco, in cui s'avvenne
    quell'augellin talora,
    lascia le penne ancora,
    ma torna in libertà:

    poi le perdute penne
    in pochi dì rinnova,,
    cauto divien per prova
    né più tradir si fa.

    So che non credi estinto
    in me l'incendio antico,
    perché sì spesso il dico,
    perché tacer non so:

    quel naturale istinto,
    Nice, a parlar mi sprona,
    per cui ciascun ragiona
    de' rischi che passò.

    Dopo il crudel cimento
    narra i passati sdegni,
    di sue ferite i segni
    mostra il guerrier così.

    Mostra così contento
    schiavo, che uscì di pena,
    la barbara catena,
    che strascinava un dì.

    Parlo, ma sol parlando
    me soddisfar procuro;
    parlo, ma nulla io curo
    che tu mi presti fé

    parlo, ma non dimando
    se approvi i detti miei,
    né se tranquilla sei
    nel ragionar di me.

    Io lascio un'incostante;
    tu perdi un cor sincero;
    non so di noi primiero
    chi s'abbia a consolar.

    So che un sì fido amante
    non troverà più Nice;
    che un'altra ingannatrice
    è facile a trovar.




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