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    Silvio Pellico

    Gli Angeli

    Qui facis angelos tuos spiritus.
    (Ps 103).

    I.

    Con un sol cenno, è ver, l’Onnipossente
    Può governar gl’innumerati mondi,
    Scevro d’ausilio di creata mente;

    Ma più degno è di lui ch’ami e fecondi
    L’universo d’angelici Intelletti,
    Di cui l’opra sue grandi opre secondi.

    Ei così volle, e spirti a lui soggetti
    Adempion suoi decreti in ogni loco,
    Quali a premiar, quali a punire eletti.

    L’Angiol del Sol, da quel beante foco
    Ai circostanti globi è fatto legge,
    E della luce incantali col gioco.

    Ed ogni astro ha uno spirito che il regge,
    Od hanne molti, giusta ch’ivi è bello
    Esser vario de’ duci il santo gregge.

    La nostra terra di sventure ostello,
    Ostello è pur di squadre celestiali,
    Onde scempio non facciane il rubello.

    Per fraterna pietà si fean coll’ali
    Agli occhi vel, lunge l’acciar rotando
    Ai cacciati quaggiù primi mortali.

    E d’Adamo fu l’Angiol, che allorquando
    Reo lo mirò — « Non disperar! gli disse,
    « L’Eterno puoi placar, te umilïando! »

    Poscia ogni volta che la colpa afflisse
    Cuori che si pentiano, il Signor tosto
    Di consolarli ad uno spirto indisse.

    Chi al fido Abramo che sul rogo ha posto
    Il caro figlio ed il coltel già snuda,
    La man rattiene? Un Cherubin nascosto.

    E quando l’infelice Agar di cruda
    Sete col figlio langue entro il deserto,
    Dio fa che l’acque un Angiolo dischiuda.

    De’ dolci Genii ognor s’accrebbe il merto
    Di quest’esule argilla a giovamento,
    Per cui sapean che Cristo avria sofferto.

    Noi vediam nel soave accorgimento
    Di Rafael (perchè Tobia giungesse
    D’ogni più cara brama al compimento)

    L’amor de’ nostri Genii: in lor le stesse
    Ardono industri fiamme generose
    Per l’alme peregrine a lor commesse.

    E più lieti n’avvampan, dacchè impose
    L’Eterno a Gabriello il gran messaggio,
    E Maria « la tua ancella ecco! » rispose.

    In quel bel dì le sfere tutte omaggio
    Le prestaro, e degli Angioli reìna
    Brillò una Donna di terren lignaggio!

    Qual fu la gioia lor quando in meschina
    Stalla videro nato il Dio lattante
    Al sen della Mortal, fatta Divina!

    Oh felice lo stuolo vigilante
    De’ pastori che l’inno udiron primi,
    Nuncio alla terra del celeste Infante!

    Godo in pensar che allor fra que’ sublimi
    Angioli avevi loco, Angiolo mio,
    Tu che guidarmi or degna cura estimi.

    Tu l’hai veduto quell’amante Iddio
    Pender bambin fra le materne braccia,
    E già per me il pregavi, e t’esaudìo!

    E poi seguisti di Gesù ogni traccia
    Pel cammin della vita, e poi vedesti
    Sul fero legno sua languente faccia,

    E di dolor sui falli miei piangesti!

    II.

    L’Angiolo! Oh amabil creatura! Un Ente
    Tutto bellezza e intelligenza e amore,
    Che tutto legge nell’eterna mente!

    L’uom qual angiol saria se affrontatore
    Della sconfitta sua stato non fosse,
    Bandiera alzando contro al suo Fattore.

    Ma il reo di sua stoltizia addolorosse,
    E lagrime spargendo si sommise,
    E Dio intese sue preci, e si commosse.

    Del mortale a custodia un Angiol mise,
    Che lo guidi e consoli, e ognor ripeta:
    » Tieni a salute le pupille fise ».

    Dal giorno poi che nostra afflitta creta
    Iddio venne a vestire ed a noi diessi,
    Dolorando e morendo, esempio e meta,

    Portando noi del divin sangue impressi
    Sulla fronte i caratteri possenti,
    Più invidia non ci fan gli Angioli istessi.

    Angioli siam noi pur, benchè gementi
    In questo passeggier regno di morte:
    Gesù nobilitò nostri tormenti!

    Perdermi ancor potrei; ma la mia sorte
    Fidata venne ad un guerrier del cielo:
    Ei mi regge e difende con man forte.

    L’Angiol che per mio bene arde di zelo
    Amo, e cerco, ed invoco, e benedico,
    E pur di poco amarlo io mi querelo.

    Ei fra’ creati fu il mio primo amico!
    Il Genio che svolgea ne’ miei prim’anni
    Del Bel l’amore, ond’oggi il cor nutrico!

    Il confidente de’ secreti affanni!
    L’incanto che i pensier m’ha raddolciti!
    Il braccio che strappommi a crudi inganni!

    Oh tutti voi, che da dolor colpiti
    Gemete in questa valle, abbiate spene
    De’ tutelari Spirti a voi largiti!

    Io troppo spesso ad amistà terrene
    Volli appoggiarmi, ed eran pochi i fidi
    Che davver s’attristasser di mie pene.

    I più m’amavan per sè stessi, e vidi
    Taluni rinnegarmi, e perfid’ eco
    Far contra me di vil calunnia a’ gridi.

    Ed io, folle, piangea! — Ma quand’io meco
    Sentìa il celeste amico mio verace,
    L’angosciato mio core effondea seco,

    Ed ei benigno v’istillava pace!


    III.

    Angiol mio, dove sei? Mai dal mio fianco
    Non ti partir, che s’appo me non t’odo,
    Tu sai quanto al ben far divenga io stanco.

    Di vane inquïetudini mi rodo,
    Se a me incessantemente non favelli,
    E ai vili penso, e d’abborrirli godo.

    Ottienmi ch’io perdonar sappia ai felli,
    Ed opri ognor secondo te, secondo
    L’orme de’ miei più nobili fratelli.

    Gareggia cogli altr’Angioli che al mondo
    Offron nelle guidate anime forti
    D’ardue virtù spettacolo giocondo.

    Perchè ne’ dì lunghissimi che assorti
    Vissi in prigion, mi sfavillò sì grande
    La dolce carità de’ tuoi conforti?

    Perchè tratto m’hai poscia infra ammirande
    Anime care, ond’una al guardo mio
    Raggi con te di Paradiso espande?

    Perchè in me suscitasti alto desìo
    D’obbedire a quell’una, e perchè fosti
    Ch’ella a me dir curasse: « Amiamo Iddio »?

    Grazie, grazie, Angiol mio, de’ manifesti
    Segni di fratellanza! ah sì, tu m’ami!
    Tu vuoi condurmi a giubili celesti!

    Tu in guise inenarrabili mi chiami,
    Per me paventi della colpa i lutti,
    E mi sveli d’inferno i lacci infami.

    Salve, bell’Angiol mio! salvete tutti,
    Angioli tutelanti l’universo,
    Perch’egli a Dio suprema gloria frutti!

    Quanti siete v’imploro, a fin che immerso
    Non vada alcun d’infra gli amati miei
    Nella voragin dello stuol perverso!

    E te precipuo invoco, Angiol, che sei
    Protettor delle belle Itale rive,
    Difendi il popol mio da influssi rei!

    Tuoni del Campidoglio in sul declive
    Sì possente la voce della Chiesa,
    Che salvatrice a tutte genti arrive!

    E la face crudel della contesa
    Fra le varie contrade Itale spegni,
    E ferva ognuna al comun bene intesa!

    E dell’alma Penisola i bei regni
    Di dura signoria non giaccian preda,
    Ne’ di plebei sovvertitori ingegni!

    Ad ogni alta virtù l’Italo creda!
    Ogni grazia da Dio l’Italo speri!
    E credendo e sperando ami, e proceda

    Alla conquista degli eterni veri.




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