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    Vittorio Alfieri

    Le mosche e l'api

    Favoletta

    D’API un libero sciame,
    Industrïoso e lieto,
    Se ne vivea felice:
    Stuol di mosche inquïeto,
    A cui la fame ═ anco l’invidia accrebbe,
    Un suo moscon per capo eletto s’ebbe;
    E l’una sì gli dice.

    Noi siam pur tante,
    L’api pochissime;
    Ciò non ostante,
    Son potentissime.
    Esca abbondante,
    Securo tetto,
    Pace e diletto;
    E che non hanno
    Quelle iniquissime?

    E il tutto fanno,
    Rette a repubblica.
    E noi, chi siamo?
    Noi pur vogliamo
    Libertà pubblica.

    Era il moscone
    Un vero omone,
    Saggio, prudente,
    E dell’api sapiente.
    Onde a quel dire oppone
    Il ragionar seguente.

    Care mie figlie, è facile
    Il chiacchierar, ma il fare
    Dà un po’ più da studiare.
    L’api sono insettoni,
    Aspre di pungiglioni,
    Che le fan rispettare.
    Ma noi, di tempra gracile,
    Che faremmo in battaglia,
    Se un soffio ci sparpaglia?

    Le pure api si pascono
    Dittamo, erbette, e rose;
    E in noi sempre rinascono
    Mille voglie golose.

    La libertà di svolazzar quà e là,
    Col periglio temprata
    Di una qualche ceffata,
    Sia dunque ognor la nostra;
    Nè questa a noi giammai tolta verrà,
    Se il senno il ver dimostra.

    Così il dotto moscon, lor viste fosche
    Ralluminando, apria
    Che non potria ═ mai farsi un POPOL MOSCHE.




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