Library / Literary Works

    Carlo Innocenzo Frugoni

    Al Sig. Co: Aurelio Bernieri

    Ornatissimo Cavaliere.

    Pensa in quanti modi tentino i Poeti di acquistar fama, e difficoltà dell’impresa.

    Bernier, fu quest’Aurora, i’ non so, come
    Desto mi son, che il Cacciator non lungi
    Romoreggiando per le secche stoppie
    Giva inseguendo, e ne le tese reti
    Cacciando le pedestri, incaute quaglie
    Immemori de l’ali, e de la fuga:
    Nè so, perche di buon mattin mi sia
    Desto oltre 1’uso. Su le mie palpebre
    Vapor tenace di soave sonno
    Dai papaveri suoi Morfeo diffonde,
    E rado, anzi non mai rinascer veggio
    La nimica de i Ladri, e degli Amanti
    Ridente Sposa, che de i fior nudrice
    Del rugoso Titon lasciar s’affretta
    I vani amplessi, e le infeconde piume.
    Pur non potendo le vegghianti ciglia
    Più ricomporre in placida quiete
    Presi a pensar sotto le molli coltri
    A me si care, or che sentir si fanno
    A i dilicati, ed a i Poeti infeste
    Le fresche mattutine aure d’Autunno,
    Presi, dico, a pensar per quante vie
    Desiosa d’onor schiera d’ingegni
    Poggiar s’affanni sul canoro Monte
    Per aver colatsù, se pure a Febo
    Sarà in grado, e a le Dee, dotta ghirlanda
    Di sacro Lauro, e d’amoroso Mirto.
    Questi tentando su le dubbie scene
    Di murate fortune illustri esempli
    Grave si calza il Sofocleo Coturno,
    E quando estima in Teatrale Arena
    Del taciturno Popolo, che ascolta
    Di fscreto terror compunger l’Alme,
    E di pietade, che furtiva i volti
    D’inaspettate lacrime cosperga,
    Vede nojosa, e come marmo fredda
    L’accolta Gente, che su i folti scanni
    Si torce sbadigliando, e lassa chiede
    Che d’alto in giù la mal sospefa tela
    Caggia, e l’ingrato recitar finisca.
    Quegli in cor volge, e ne le lunghe notti,
    E su le chete, e limpide mattine
    Va meditando, se pur possa a i fonti
    Ber del culto Petrarca, e gentilmente
    Com’egli feo, filosofar d’amore.
    Altri poi schivo di servil catena
    Prova, se col favor de l’alma Euterpe
    Possa emulando il Savonese ardito
    Nove liriche vie, novi colori
    Crear cantando, e su le proprie penne
    Libero, e novel Cigno a i Numi alzarsi;
    Ma chi di Sorga a i puri rivi attinga
    Raro è assai più, che sul dorato Gange
    L’augel che ardendo in odoroso rogo
    Incontro al Sol dal cener suo rinasce:
    So ben, che imitatrice immensa turba
    Del maggior Toseo pochi sensi, e poche
    Ricerche parolette, e scelti modi
    Mal ne’suoi versi dilombati, e d’arte
    Voti, e di genio a gran fatica intesse,
    E povera del suo, mal fra suoi cenci,
    Senza rossor del disadatto furto,
    Par s’argumenta, e d’ostentar non pave
    Splendenti strisce di purpureo panno.
    Chi poi vago di gir per anco intatte
    Da poetico piè strade, che primo
    Pindaro tenne, e con felice ardire
    Flacco poi corse, e ricalcò di poi
    Il Savonese mio, che primier seppe
    Pien d’immagini vive, e caldo d’estro
    Armar di Greche, e di Latine corde
    L’Itala cetra, oh come a i passi incerti
    In sul duro cammin sente, che in breve
    Manca lena, e consiglio, e come tardi
    Scorge, che a pochi da le Muse è dato
    Stampar perenne, e memorabil’orma
    Su quei sentier ricchi di luce, e sparsi
    Di velato saper, che de l’ignaro
    Vulgo fugge gli sguardi, e i Saggi suole
    Ferir di meraviglia, e di diletto!
    Io più ch’altri, mel so, che mal soffrendo
    Soverchie leggi al poetar prescritte
    Solo feconde d’abborrito stento,
    Non senza studio, di natura volli,
    Come de la miglior Maestra prima
    Ir secondando i buon principi, e i moti;
    E quasi nuotator, che usato, ed atto
    Senza corteccia a contrastar con l’onda
    Fra ’l nautico favor si lascia addietro
    Lo stuol seguace, e l’arenosa riva,
    Ne le nervose gambe, e ne l’esperte
    Braccia affidato, e ne l’audace petto,
    Senza sostegno, e guida anch’io credei
    Franco poter per l’Apollineo Regno
    Prender, qual mi piacea, lunge da gli altri
    Novo viaggio, e forse il presi, e forse,
    Quando, me fatto già invisibil’ombra,
    Vivo il mio nome prenderassi a scherno
    La gelid’urna, e le ragion di morte,
    Ne farà fede ogni lontano tempo
    Giudice più sincero, e ne’ miei carmi
    Non solo certa esterior vaghezza
    Di forme, e di fantasmi, e certo dono
    Facile di cantar, ma pur fra i lumi
    Del difficile stil, come fra belle
    Adorne vesti signoril Matrona
    Troverà involte quell’egregie cose,
    Che acconciamente trae Poeta accorto
    Da le scienze, e dir s’udrà: Costui
    Vide, e conobbe ancor le illustri scole.
    Come poi raro sia, chi dopo Plauto
    Padre del riso, e de i giocosi sali,
    E il candido Terenzio agguagli il prisco
    Menandro, e a i nostri dì pregio a le Tosche
    Poche leggiadre auree Commedie accresca,
    Bernier, tei vedi. A talun facil sembra
    Cingersi l’umil socco, e sul Teatro
    Condur malvagio servo, o troppo dolce
    Credula Madre, o simulante Figlia,
    Che di secreto Amor pungol già sente,
    O indocile garzon, che al ben rinchiuso,
    E riposto tesor del Padre avaro
    Tende incessanti insidie, e a goder dato
    L’ore presenti, l’avvenir non cura;
    Ma quando in questo faticoso guado
    Poi mette i pronti remi, oh quanti incontra
    Non preveduti, sventurati inciampi
    D’occulte secche, dove urtando rompe,
    Che malagevol è, senza dolore
    Turpezza rinvenir, che riso desti,
    Ed imitando con piacer corregga
    Il guasto, e vario popolar costume.
    Infin pensai, ch’altri salire in grido
    Potria per la sublime Epica tromba,
    Che un novo Achille, o un redivivo Ulisse,
    O l’insigne pietà d’ un’altro Enea,
    E d’ un’altro Goffredo al Cielo ergesse;
    Ma, se il Meonio, o se il Cantor di Manto,
    O se non alza da l’augusto Avello
    Il gran Torquato l’onorata fronte,
    Penderà muta da quel santo alloro,
    Dove di tal Maestri assai contenta
    Di propria mano la sospese Apollo.
    Questi, ed altri pensier, che per la mente
    Come di Maggio ad Alveare intorno
    Ronzanti pecchie, a me giacente in piuma
    L’un dopo l’altro si moveano a prova,
    Ruppe, e disciolse abil Coppier, che lieto
    D’Indiche Droghe, e d’odorata spuma
    Largo conforto mi recava in Nappo
    Di Cinese lavoro. Io la man porsi
    Al Nettare beato, e poiché a sorso
    A sorso l’ebbi delibato, or s’abbia,
    Dissi fra me, quante col calcio aperse
    Il pennuto destriero acque in Parnaso.
    E quaggiù sol questa Oriental bevanda
    Sia l’Aganippe, o l’Ippocrene mio:
    Giurando il dissi per l’intonsa, e bionda
    Chioma di Febo, per cui dir non oso,
    Diletto Aurelio mio, se pur mel credi,
    Menzogna, e il letto abbandonai d’un salto.


    Versi sciolti




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