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    Cesare Cantù

    I morti di Torno

    Naviganti, che il lago fendete
    Presso Torno sul far della sera,
    Fermi il remo su l’onde quiete,
    La devota dei morti preghiera
    Alternate con flebile voce
    Degli sposi davanti alla croce.

    L’aura udite che intorno le freme?
    A lambirla vedete quel fuoco?
    Là due fidi riposano insieme.
    Ne bramate la storia? Per poco
    Date ascolto: la storia va al core
    Come i detti d’un padre che more.

    Là in quel letto di fianco alla torre
    Visse Linda, sospiro di mille:
    Ma per lei non v’è gioja; ma scorre
    Sempre il pianto dall’egre pupille
    Da quel dì che un severo comando
    Le strappò dalle braccia Fernando.

    Quante volte, fissata sul lago,
    Il mattin le ricorre al pensiero
    Che ha veduto partire il suo vago
    Dai Francesi arrolato guerriero,
    Quattro dì dopo l’alba festosa
    Che la fe’ gl’impromise di sposa!

    Lì a quel salce, alla misera avvinto,
    I begli occhi coi baci asciugò:
    Qui da truce sbirraglia sospinto,
    — Linda, addio» fra i singhiozzi iterò:
    Dal battello fin qui l’ha veduto
    Accennarle il compianto saluto.

    Or del duol coll’ingegno, la mesta
    Cerca i campi di là da Pirene,
    Fra i cimenti di guerra funesta
    Paurosa seguendo il suo bene.
    Oh pensate se un solo momento
    Abbia posa di Linda il tormento!

    Del giardin più le ajuole non cura:
    A chi dar le primizie dei fiori?
    Quando aprile ravviva natura
    Più non guida i festevoli cori:
    Dell’ottobre a la gioja vivace
    Le memorie e il timor non han pace.

    A te, Diva; a te, Madre di doglie,
    Fida il pianto, offre i candidi voti.
    Del Bisbin, del Soccorso alle soglie
    Chiede il prego dei pii sacerdoti:
    Ma una voce presaga di guai,
    — No (le grida) non più lo vedrai».

    Pure un dì, dalle Spagne tornato,
    Chiuso foglio recolle un guerriero.
    Lo conobbe; il baciò: dell’amato
    Era un foglio di gioja foriero.
    Sette dì, poi nel patrio terreno
    Stringerà la diletta al suo seno.

    — Ei ritorna: ei ritorna!» La bella
    Dal tripudio all’eccesso mancò.
    — Ei ritorna!» La fausta novella
    Alle amiche, ai parenti recò.
    A te, madre dei mesti Maria,
    Di sue grazie il tributo offeria.

    Del dì settimo l’alba s’en venne,
    La trovò sulle piume destata:
    Ella è fuor: del desìo su le penne
    S’è tremando alla spiaggia recata,
    Donde il guardo sospinge bramoso,
    Se discerna il tornante suo sposo.

    Ogni prora che avvisa lontano,
    — Egli è desso» e distinguer lo crede:
    Ma la nave sul liquido piano
    Oltrepassa e coll’aura procede.
    Ecco un’altra dal fondo s’avanza:
    Trema il cor di novella speranza.

    Ma passò l’ansïosa mattina:
    Già le squille nunziâr mezzogiorno,
    Dietro i monti il grand’astro declina,
    Buffa il vento, s’annuvola intorno.
    Lo sapete voi pur, naviganti,
    Se a chi aspetta son pigri gl’istanti!

    Or sicura la gioja figura
    D’abbracciarlo, di vivere insieme:
    Oh i bei dì! — ma un’ignota paura
    Ogni fior le recide di speme.
    Sol disvia que’ pensieri funesti
    Te invocando o regina dei mesti.

    Alla fin, non s’inganna, alla fine
    Egli è desso in un piccol battello:
    Verde assisa, il caschetto sul crine,
    Mostre rosse, alle spalle il fardello;
    Egli è desso; in tripudio d’affetto
    Par che il core le sbalzi dal petto.

    Ma il tuon s’ode: più l’aura crescendo
    Dalla sponda il naviglio ricaccia.
    Ella trepida, qua, là correndo,
    L’occhio aguzza, protende le braccia.
    — Lo vedrò da quel balzo più bene»;
    E alla cima del balzo sen viene.

    Per la rupe del muschio coverta,
    E di foglie che l’alno perdè
    Su su poggia, ma a mezzo dell’erta,
    Mal posato le sdrucciola il piè...
    Vergin santa! Dall’ispida china
    Capovolta ne’ flutti rovina.

    La conobbe Fernando; dall’alto
    Cader videla, e più non frenossi:
    Gonfio è il lago — Che importa d’un salto
    Ei si lancia fra i gorghi commossi,
    E là drizza ove, scossi dall’onde,
    Mira i veli e le chiome sue bionde.

    Quanti seco venian nel naviglio
    Di spavento levarono un grido.
    Del guerrier, della bella al periglio
    Molta accorse la turba sul lido:
    Qua, battelli, qua corde; — ma tutto
    Rende vano lo sdegno del flutto.

    Pur Fernando alla cara si spinge.
    Che lo vede, il conosce, ed ansante
    Col vigor moribondo si stringe
    Contro il sen dell’intrepido amante:
    L’onda avversa con forza egli tiede;
    Ma una spiaggia ove approdi non vede.

    Ingrossando più sempre, il maroso
    Gl’irti scogli del lido flagella.
    Già il meschin, per lei sola affannoso,
    Vinto cede all’infausta procella —
    Dalla riva odi il prego dei morti
    Suffragar gli annegati consorti.

    Come il mite dell’alba respiro
    Appianò l’agitata laguna,
    Tutti afflitti alla spiaggia rediro
    Compatendo all’indegua fortuna.
    Fur trovate le salme là dove
    L’aura i rami a quei salci commove.

    Linda ancora premevasi al petto
    Del suo fido... oh che abbracci funesti!
    Questo è il gaudio nuzial, questo è il letto
    Delle nozze gli evviva son questi?
    Solo a tocchi la squilla risuona
    Come il cor di morente persona.

    C’è nessun fra di voi che sia padre?
    C’è nessun che ha perduto il suo caro?
    Il lor padre, la povera madre
    Deh pensate qual doglia provaro!
    I garzon, le piangenti donzelle
    Li fiorir di viole e mortelle;

    E il suffragio per essi offerendo,
    Ne composer in uno le salme.
    La sant’acqua i leviti aspergendo,
    Luce eterna pregarono all’alme:
    Quella croce ed un carme pietoso
    Mostra il suol del congiunto riposo.

    Lungo tempo ogni padre, alla sera,
    Quando in mezzo de’ figli adunati
    Ripetea l’uniforme preghiera,
    Disse un Pater pei fidi annegati:
    Chi vogando la croce rimira
    Prega requie in silenzio e sospira.

    L’aura udite che intorno le freme?
    A lambirla vedete quel fuoco?
    Son gli amanti che vagano insieme
    Ogni notte al tristissimo loco:
    Ed alcun nel più buio talvolta
    Il lugubre lor gemere ascolta.

    Naviganti: la storia va al core
    Come l’ultimo addio degli amanti.
    Se il cammin vi propizi! il Signore,
    Se vi guardino l’alme purganti,
    Dite un Requiem con flebile voce
    Degli sposi davanti alla croce.


    Novelle lombarde, 1834




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