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    Domenico Milelli

    Bare

    La catastrofe bussa prepotente e spietata alle porte della sua casa : muore il padre, e, come le foglie, il fato terribile stacca dal tetto natio Lidia, cui l'implacata tosse aveva infranto il giovane petto e poi Lelio ghermito alla madre in si giovane etade e poi Lina, « ultima aurora di pace ».


    Nè le lacrime a' materni
    occhi espresse dagli affanni,
    nè i di nudi ad uno ad uno
    noverati in sedici anni

    rallentar della maligna
    sorte gli odii un'ora sola,
    colpa il pianto in sulle ciglia
    e sul labbro la parola.

    Quante volte, al poveretto
    gramo desco il pan mancando,
    scarso un obolo ci corse
    per le vie limosinando:

    Quante volte irrigidito
    dal fatal verno inclemente
    alle lacere si chiese
    coltri il sonno inutilmente,

    mentre tu, madre, tremando
    della vita de'tuoi figli
    t'affannavi a consolarli
    di amorevoil consigli.

    .........

    Alle fosse avide intanto
    spalancate in cimitero
    preparava il pasto infame
    il bisogno orrido e nero;

    e di Lidia macerando
    pria le fibre delicate
    alla triste iliade schiuse
    le miserrime giornate.

    Su quel volto a poco a poco
    come più si fea nel core
    vivo il senso della vita
    si effondea letal pallore.

    Della luce azzurra il raggio
    nei sereni occhi languia
    il sospiro era un lamento,
    il sorriso un'elegìa.

    Triste larva, ella passava
    come nebula d'incenso
    della sua dolente casa
    pel deserto arido, immenso;

    finchè un dì, dalla implacata
    tosse infranto il giovin petto
    le sue diè, povera martire,
    membra bianche al cataletto.

    E la madre come pazza :
    — Dio s'è ver che tu ci sei,
    Dio perchè questo supplizio?
    Che ti han fatto i figli miei? -

    E, qual ramo a giovin faggio,
    dalla grandine strappato,
    l'esil corpo dalle pustole
    del vaiuolo difformato,

    dall'attigua, invan pregando,
    sua stanzetta, intanto aita,
    Lelio il fior vedea perire
    della sua giovine vita.

    — Oh! levatemi da questo
    di carboni orrido letto,
    piombo fuso ho nelle vene,
    ho l'inferno entro nel petto,

    per pietà da quest'incendio
    che mi brucia e mi divora
    chi mi salva? O madre, aiutami,
    per pietà non far ch'io mora! —

    E il funesto estremo rantolo
    afferrandolo alla gola,
    gli togliea tra le sue spire
    rabbiose la parola.

    Così giacque e gli luceva
    nella immobile pupilla
    come gocciola gelata
    del dolor l'ultima stilla.

    .......

    E soffiando umido il vento
    dell'autunno le penose
    grigie nebbie dell'ottobre
    avvolgea tutte le cose.

    E te pur, chiusa ne'loro
    scuri e tetri abbracciamenti
    te, di pace ultima aurora
    tolser, Lina, a'tuoi parenti.

    Fur trent'ore di martirio
    per te lunghe interminate;
    trenta secoli d'anelito
    per quell'anime affannate.

    Finchè — madre, ahimè! — dicesti:
    — Muoio! — e tacque la tua voce
    strangolata dal difterico
    uccisor spasimo atroce.

    E la madre il macro e livido
    corpicin forte abbracciando,
    nei tuoi spenti occhi i suoi freddi
    impietrati occhi fissando :

    — Tu — gridò : — Morta tu pure,
    Lina, o santo angelo mio;
    Ah! Tu sei padre d'infamia,
    non d'amor, perfido Dio! —


    (Bare, da Kokodè).


    1883




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