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    Gabriele D'Annunzio

    Laus vitae - I

    O Vita, o Vita,
    dono terribile del dio,
    come una spada fedele,
    come una ruggente face,
    come la gorgóna,
    come la centàurea veste;
    o Vita, o Vita,
    dono d’oblìo,
    offerta agreste,
    come un’acqua chiara,
    come una corona,
    come un fiale, come il miele
    che la bocca separa
    dalla cera tenace;
    o Vita, o Vita,
    dono dell’Immortale
    alla mia sete crudele,
    alla mia fame vorace,
    alla mia sete e alla mia fame
    d’un giorno, non dirò io
    tutta la tua bellezza?
    Chi t’amò su la terra
    con questo furore?
    Chi ti attese in ogni
    attimo con ansie mai paghe?
    Chi riconobbe le tue ore
    sorelle de’ suoi sogni?
    Chi più larghe piaghe
    s’ebbe nella tua guerra?
    E chi ferì con daghe
    di più sottili tempre?
    Chi di te gioì sempre
    come s’ei fosse
    per dipartirsi?
    Ah, tutti i suoi tirsi
    il mio desiderio scosse
    verso di te, o Vita
    dai mille e mille vólti,
    a ogni tua apparita,
    come un Tìaso di rosse
    Tìadi in boschi folti,
    tutti i suoi tirsi!

    Nessuna cosa
    mi fu aliena;
    nessuna mi sarà
    mai, mentre comprendo, mondo
    Laudata sii, Diversità
    delle creature, sirena
    del mondo! Talor non elessi
    perché parvemi che eleggendo
    io t’escludessi,
    o Diversità, meraviglia
    sempiterna, e che la rosa
    bianca e la vermiglia
    fosser dovute entrambe
    alla mia brama,
    e tutte le pasture
    co’ lor sapori,
    tutte le cose pure e impure
    ai miei amori;
    però ch’io son colui che t’ama,
    o Diversità, sirena
    del mondo, io son colui che t’ama.

    Vigile a ogni soffio,
    intenta a ogni baleno,
    sempre in ascolto,
    sempre in attesa,
    pronta a ghermire,
    pronta a donare,
    pregna di veleno
    o di balsamo, tòrta
    nelle sue spire
    possenti o tesa
    come un arco, dietro la porta
    angusta o sul limitare
    dell’immensa foresta,
    ovunque, giorno e notte,
    al sereno e alla tempesta,
    in ogni luogo, in ogni evento,
    la mia anima visse
    come diecimila!
    È curva la Mira che fila,
    poi che d’oro e di ferro pesa
    lo stame come quel d’Ulisse.

    Tutto fu ambìto
    e tutto fu tentato.
    Ah perché non è infinito
    come il desiderio, il potere
    umano? Ogni gesto
    armonioso e rude
    mi fu d’esempio;
    ogni arte mi piacque,
    mi sedusse ogni dottrina,
    m’attrasse ogni lavoro.
    Invidiai l’uomo
    che erige un tempio
    e l’uomo che aggioga un toro,
    e colui che trae dall’antica
    forza dell’acque
    le forze novelle,
    e colui che distingue
    i corsi delle stelle,
    e colui che nei muti
    segni ode sonar le lungue
    dei regni perduti.

    Tutto fu ambìto
    e tutto fu tentato.
    Quel che non fu fatto
    io lo sognai;
    e tanto era l’ardore
    che il sogno eguagliò l’atto.
    Laudato sii, potere
    del sogno ond’io m’incorono
    imperialmente
    sopra le mie sorti
    e ascendo il trono
    della mia speranza,
    io che nacqui in una stanza
    di porpora e per nutrice
    ebbi una grande e taciturna
    donna discesa da una rupe
    roggia! Laudato sii intanto,
    o tu che apri il mio petto
    troppo angusto pel respiro
    della mia anima! E avrai
    da me un altro canto.


    Maia, 1903




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