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    Gasparo Gozzi

    La Dote

    NELLA contrada di San..... fecesi a’ passati dì un pajo di nozze sì sontuose e di sì nuova invenzione, che merita di aver luogo nel presente foglio. Abitava quivi M. R., sartorella di professione, la quale nell’esercizio dell’arte sua essendo molto perita, avea perciò acquistate molte avventore e pratiche, ch’erano vestite da lei con ogni qualità di abiti alla francese, alla prussiana, e in somma in qualunque modo avessero voluto. La celebrità sua le arrecava per le continue faccende un gran guadagno a casa, tanto che la vicinanza, come si fa, quando ragionava di lei, chiamavala fortunata, e dicea ch’ella aveva un monte di oro, e che l’era pazza a non cominciar ad investire per apparecchiarsi un ozioso stato al tempo della sua vecchiaja. Un gondoliere non fu sordo alle cose che venivano dette; e forse pensando fra sè che lo investire si riduce ad una piccola entrata, e ch’egli è meglio godere un tratto del capitale, che stentare a poco a poco col frutto, volle ajutare la povera sartorella col suo consiglio. Ripulitosi dunque, e affidatosi ch’egli era uno di cotesti gondolieri, de’ quali molti si veggono, biondo, biancone, grassotto e tutto festevole, tanto fece co’ suoi artifizj e con l’ingegno, che cominciò ad entrare in casa della sartorella; e accortosi che non le riusciva mala cosa, ma che lo vedeva di buon occhio, di dì in dì inoltravasi con le parole, tanto che fra il motteggiare e la serietà si conchiuse fra loro un trattato di matrimonio. In breve venne un rigattiere o stracciajuolo, che, fatto un inventario e la lista de’ mobili della sposa, giuntovi non so quali fila di perle e certe dorerie e argenti, si trovò che la somma montava pressochè a duemila ducati. Fecesi la scrittura autentica della dote, e già il gondoliere godevasi a mente i vicini tesori. Per la qual cosa, fatto largo il cuor suo, volle che le nozze fossero belle e grandi; per modo che nell’assegnato giorno furono i novelli sposi accompagnati ad udire la messa del congiunto da otto gondole, e il pranzo si apparecchiò in un casino fornito come un palagetto incantato, e prestato ad instanza della sposa, non so se dal compare o da altri. Tutto fu giubilo in quel giorno e danze e suoni; sicchè ogni cosa augurava contentezza, massime allo sposo che ringraziava tutti delle cerimonie e delle congratulazioni, che avesse con la presenza sua e con l’ingegno saputo acquistarsi duemila ducati e moglie così valente a lavorare. Chiusesi finalmente il giorno dell’allegrezza, e due altri ne passarono; e volendo il marito con maggior quiete rivedere le robe della dote, ritrovò gli armadj e le casse sue vote, e le perle e le dorerie e ogni cosa sparita, e che solo gli restava la moglie con quel poco che avea intorno, e una vesticciuola ed un zendale per uscire di casa. Immagini chi legge s’egli montò sulle furie, e se volle sapere dove era la roba sua, e se con la carta in mano volea far vedere le sue ragioni. Ma le avrebbe fatto vedere all’aria , perché tutti quegli abiti erano stati dalla sartorella restituiti alle sue avventore che glieli aveano dati da cucire e che ella avea trattenuti, scusandosi con esse che non avea potuto in quei giorni pel vicino matrimonio terminarli, e gli avea intanto fatti scrivere sul contratto per suoi; e così fu dell’oro, dell’argento e delle perle, che, parte per andare in maschera e parte per comparire onorevole il giorno delle nozze, le avea domandate in prestanza, e dopo le avea puntualmente date alle padrone che le aveano prestate. Pensi ognuno quale si restasse il novello sposo, a cui però rimane una moglie che sa benissimo lavorare e che ha buona testa.

    Rimane una curiosità ad alcuni di saper quello che si facesse la giovane de’ danari da lei guadagnati prima delle nozze, e per li quali era stata stimata ricca. Gli aveva dati daddovero a conto di dote a poco a poco a persona che con promessa di sposarla, non effettuata, la ridusse in istato di fabbricarsi una dote nuova con l’ingegno, senza far altri rumori.




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