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    Giovanni Pascoli

    Il giorno dei morti

    Io vedo (come è questo giorno, oscuro!),
    vedo nel cuore, vedo un camposanto
    con un fosco cipresso alto sul muro.

    E quel cipresso fumido si scaglia
    allo scirocco: a ora a ora in pianto
    sciogliesi l’infinita nuvolaglia.

    O casa di mia gente, unica e mesta,
    o casa di mio padre, unica e muta,
    dove l’inonda e muove la tempesta;

    o camposanto che sì crudi inverni
    hai per mia madre gracile e sparuta,
    oggi ti vedo tutto sempiterni

    e crisantemi. A ogni croce roggia
    pende come abbracciata una ghirlanda
    donde gocciano lagrime di pioggia.

    Sibila tra la festa lagrimosa
    una folata, e tutto agita e sbanda.
    Sazio ogni morto di memorie, posa.

    Non i miei morti. Stretti tutti insieme,
    insieme tutta la famiglia morta,
    sotto il cipresso fumido che geme,

    stretti così come altre sere al foco
    (urtava, come un povero, alla porta
    il tramontano con brontolìo roco)

    piangono. La pupilla umida e pia
    ricerca gli altri visi a uno a uno
    e forma un’altra lagrima per via.

    Piangono, e quando un grido ch’esce stretto
    in un sospiro, mormora, Nessuno!...
    cupo rompe un singulto lor dal petto.

    Levano bianche mani a bianchi volti,
    non altri, udendo il pianto disusato,
    sollevi il capo attonito ed ascolti.

    Posa ogni morto; e nel suo sonno culla
    qualche figlio de’ figli, ancor non nato.
    Nessuno! i morti miei gemono: nulla!

    — O miei fratelli! — dice Margherita,
    la pia fanciulla che sotterra, al verno,
    si risvegliò dal sogno della vita:

    — o miei fratelli, che bevete ancora
    la luce, a cui mi mancano in eterno
    gli occhi, assetati della dolce aurora;

    o miei fratelli! nella notte oscura,
    quando il silenzio v’opprimeva, e vana
    l’ombra formicolava di paura;

    io veniva leggiera al vostro letto;
    Dormite! vi dicea soave e piana:
    voi dormivate con le braccia al petto.

    E ora, io tremo nella bara sola;
    il dolce sonno ora perdei per sempre
    io, senza un bacio, senza una parola.

    E voi, fratelli, o miei minori, nulla!...
    voi che cresceste, mentre qui, per sempre,
    io son rimasta timida fanciulla.

    Venite, intanto che la pioggia tace,
    se vi fui madre e vergine sorella:
    ditemi: Margherita, dormi in pace.

    Ch’io l’oda il suono della vostra voce
    ora che più non romba la procella:
    io dormirò con le mie braccia in croce.

    Nessuno! — Dice; e si rinnova il pianto,
    e scroscia l’acqua: un impeto di vento
    squassa il cipresso e corre il camposanto.

    — O figli — geme il padre in mezzo al nero
    fischiar dell’acqua — o figli che non sento
    più da tanti anni! un altro cimitero

    forse v’accolse, e forse voi chiamate
    la vostra mamma, nudi abbrividendo
    sotto le nere sibilanti acquate.

    E voi le braccia dall’asil lontano
    a me tendete, siccome io le tendo,
    figli, a voi, disperatamente invano.

    O figli, figli! vi vedessi io mai!
    io vorrei dirvi che in quel solo istante
    per un’intera eternità v’amai.

    In quel minuto avanti che morissi,
    portai la mano al capo sanguinante,
    e tutti, o figli miei, vi benedissi.

    Io gettai un grido in quel minuto, e poi
    mi pianse il cuore: come pianse e pianse!
    e quel grido e quel pianto era per voi.

    Oh! le parole mute ed infinite
    che dissi! con qual mai strappo si franse
    la vita viva delle vostre vite.

    Serba la madre ai poveri miei figli:
    non manchi loro il pane mai, nè il tetto,
    nè chi li aiuti, nè chi li consigli.

    Un padre, o Dio, che muore ucciso, ascolta:
    aggiungi alla lor vita, o benedetto,
    quella che un uomo, non so chi, m’ha tolta.

    Perdona all’uomo, che non so; perdona:
    se non ha figli, egli non sa, buon Dio...
    e se ha figlioli, in nome lor perdona.

    Che sia felice; fagli le vie piane;
    dagli oro e nome; dàgli anche l’oblio;
    tutto: ma i figli miei mangino il pane.

    Così dissi in quel lampo senza fine;
    Vi chiamai, muto, esangue, a uno a uno,
    dalla più grandicella alle piccine.

    Spariva a gli occhi il mondo fatto vano.
    In tutto il mondo più non era alcuno.
    Udii voi soli singhiozzar lontano —

    Dice; e più triste si rinnova il pianto;
    più stridula, più gelida, più scura
    scroscia la pioggia dentro il camposanto.

    — No, babbo, vive, vivono — Chi parla?
    Voce velata dalla sepoltura,
    voce nuova, eppur nota ad ascoltarla,

    o mio Luigi, o anima compagna!
    come ti vedo abbrividire al vento
    che ti percuote, all’acqua che ti bagna!

    come mutato! sembra che tu sia
    un bimbo ignudo, pieno di sgomento,
    che chieda, a notte, al canto della via.

    — vivono, vive. Non udite in questa
    notte una voce querula, argentina,
    portata sino a noi dalla tempesta?

    È la sorella che morì lontano,
    che in questa notte, povera bambina,
    chiama chiama dal poggio di Sogliano.

    Chiama. Oh! poterle carezzare i biondi
    riccioli qui, tra noi; fuori del nero
    chiostro, de’ sotterranei profondi!

    Un’altra voce tu, fratello, ascolta;
    dolce, triste, lontana: il tuo Ruggiero;
    in cui, babbo, moristi un’altra volta.

    Parlano i morti. Non è spento il cuore
    nè chiusi gli occhi a chi morì cercando,
    a chi non pianse tutto il suo dolore.

    E or per quanto stridula di vento
    ombra ne dividesse, a quando a quando
    udrei, come da vivo, il tuo lamento,

    o mio Giovanni, che vegliai, che ressi,
    che curai, che difesi, umile e buono,
    e morii senza che ti rivedessi!

    Avessi tu provato di quell’ora
    ultima il freddo, e or quest’abbandono,
    gemendo a noi ti volgeresti ancora —

    — Ma se vivete, perchè, morti cuori,
    solo è la nostra tomba illacrimata,
    solo la nostra croce è senza fiori? —

    Così singhiozza Giacomo: poi geme:
    — Quando sola restò la nidïata,
    Iddio lo sa, come vi crebbi insieme:

    se con pia legge l’umili vivande
    tra voi divisi, e destinai de’ pani
    il più piccolo a me, ch’ero il più grande;

    se ribevvi le lagrime ribelli
    per non far voi pensosi del domani,
    se il pianto piansi in me di sei fratelli;

    se al sibilar di questi truci venti,
    al rombar di quest’acque, io suscitava
    la buona fiamma d’eriche e sarmenti;

    e io, quando vedea rosso ogni viso,
    e più rossi i più piccoli, tremava
    sì, del mio freddo, ma con un sorriso.

    Ma non per me, non per me piango: io piango
    per questa madre che, tra l’acqua, spera,
    per questo padre che desìa, nel fango;

    per questi santi, o fratel mio, che vivi;
    di cui morendo io ti dicea... ma era
    grossa la lingua e forse non udivi —

    Io vedo, vedo, vedo un camposanto,
    oscura cosa nella notte oscura:
    odo quel pianto della tomba, pianto

    d’occhi lasciati dalla morte attenti,
    pianto di cuori cui la sepoltura
    lasciò, ma solo di dolor, viventi.

    L’odo: ora scorre libero: nessuno
    può risvegliarsi, tanto è notte, il vento
    è così forte, il cielo è così bruno.

    Nessuno udrà. La povera famiglia
    può piangere. Nessuno, al suo lamento,
    può dire: Altro è mio figlio! altra è mia figlia!

    Aspettano. Oh! che notte di tempesta
    piena d’un tremulo ululo ferino!
    Non s’ode per le vie suono di pesta.

    Uomini e fiere, in casolari e tane,
    tacciono. Tutto è chiuso. Un contadino
    socchiude l’uscio del tugurio al cane.

    Piangono. Io vedo, vedo, vedo. Stanno
    in cerchio, avvolti dall’assidua romba.
    Aspetteranno, ancora, aspetteranno.

    I figli morti stanno avvinti al padre
    invendicato. Siede in una tomba
    (io vedo, io vedo) in mezzo a lor, mia madre.

    Solleva ai morti, consolando, gli occhi,
    e poi furtiva esplora l’ombra. Culla
    due bimbi morti sopra i suoi ginocchi.

    Li culla e piange con quelli occhi suoi,
    piange per gli altri morti, e per sè nulla,
    e piange, o dolce madre! anche per noi;

    e dice: — Forse non verranno. Ebbene,
    pietà! Le tue due figlie, o sconsolato,
    dicono, ora, in ginocchio, un po’ di bene.

    Forse un corredo cuciono, che preme:
    per altri: tutto il giorno hanno agucchiato,
    hanno agucchiato sospirando insieme.

    E solo a notte i poveri occhi smorti
    hanno levato, a un gemer di campane;
    hanno pensato, invidïando, ai morti.

    Ora, in ginocchio, pregano Maria
    al suon delle campane, alte, lontane,
    per chi qui giunse e per chi resta in via,

    là; per chi vaga in mezzo alla tempesta,
    per chi cammina, cammina, cammina;
    e non ha pietra ove posar la testa.

    Pietà pei figli che tu benedivi!
    In questa notte che non mai declina,
    orate requie, o figli morti, ai vivi! —

    O madre! Il cielo si riversa in pianto
    oscuramente sopra il camposanto.


    Myricae / Dall'alba al tramonto




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