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    Guido Gozzano

    Il Castello d'Agliè

    ... Princesse, pardonnez, en lisant cet ouvrage
    Si vous y retrouvez, crayonnés par ma main,
    Les traits charmant de votre image:
    J’ai voulu de mes vers assurer le destin...

    (Le chevalie de Florian
    à la Sérénissime Princesse de Lamballe)


    Poi che il romano Uccello lo stendardo
    latino impose su l’itale terre
    surgesti minaccioso baluardo.

    Surgesti minaccioso e nelle guerre
    che devastaron la campagna opima
    gran nerbo di guerrieri entro rinserre.

    Allora Duca non v’era non Reïna,
    ma molti feditori e balestrieri
    per il peggio dell’oste e la ruina.

    Rozzo sorgevi allora, ma tra i neri
    fianchi adunavi impavida coorte
    d’uomini armati di coraggio e fieri.

    Da i tuoi muri turriti da la forte
    ossatura dei fianchi da i bastioni
    le bertesche gittavano la morte

    su i signori feudali, su i baroni
    vogliosi di posar la man predace
    su nuove terre e aver nuovi blasoni.

    L’Evo Medio passò, ma non si tace
    per anco il ferro: i Conti San Martino
    nell’antico manier non hanno pace.

    Il Torresan, secondo Attila, insino
    questi colli per ordine di Francia
    porta guerra con suo stuolo ferino.

    Ma il Bassignana sua coorte slancia
    e, mentre fra le braccia di Leonarda
    meretrice quei dorme, ecco l’abbrancia.

    Nel diruto castello fino a tarda
    etade vive Donna Caterina
    sposa esemplare in epoca beffarda.

    E contro il Cardinale che Cristina
    di Francia come sua suddita guarda
    Don Filippo difende la Regina.

    Per alcun tempo qui, quando la tarda
    baronia declinò, ristette l’urna
    che d’Arduino il cenere riguarda.

    Ma invidïosa poi ladra notturna
    viene coi bravi antica Marchesana,
    l’urna si toglie e fugge taciturna.

    O quante larve vivono d’arcana
    vita in miei sogni! Parlano gli abeti
    del grande parco, s’anima la piana

    dei prati illustri. Appare fra i laureti
    bella ospite del Re Carlo Felice
    Maria Luisa da i grandi occhi inquieti

    ed ecco il Re che un’era nuova indice,
    ecco Maria Cristina sua consorte,
    ecco risorta l’epoca felice.

    Così mentre m’aggiro e su le morte
    foglie premo col piede lungo il viale
    mille imagini son da me risorte.

    E tutto tace. Non il sepolcrale
    silenzio rompe il suono delli squilli
    non latrato di veltri. L’autunnale

    luce è silente. Non canto di grilli
    estivo e roco. Solo indefinito
    fievole viene un suono di zampilli.

    È il ferro di cavallo. Quivi ardito
    sul delfino cavalca ancor Nettuno
    di verdi-gialli licheni vestito.

    Le sirene lapidee dal bruno
    manto di musco accennano al ferrigno
    Signor del luogo. E non risponde alcuno.

    Però su l’acque in tempo eguale il Cigno
    muove le palme con ritmo silente
    e volge attorno l’occhio fiero e arcigno.

    Sogna ancor forse Leda nelle intente
    pupille nere lungo la divina
    sponda d’Eurota? Ahimè, la Dea è assente.

    Ma fra i mirti, fra i lauri la Regina
    del luogo appare cavalcante e bionda
    come bianca matrona bizantina.

    Avanza il baio fino su la sponda
    del bacino. Si specchia trepidante
    la signora nell’acqua. E il sol la inonda.

    E l’erme antiche memori di tante
    Iddie pagane del bel mito assente
    la rediviva Diana cavalcante

    guatano immote, misteriosamente.




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