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    Iginio Ugo Tarchetti

    La vita

    Secondo l’ordine naturale delle cose nessuno muore ad un tratto, ma la natura (ove non le sia fatta violenza) ci distacca essa medesima dalla vita come un frutto maturo; ed è sì valente in questa bisogna che spesso ce ne infastidisce per modo da farci anelare alla morte come ad una dolcezza o ad una grazia. In ciò ella raggiunge due scopi: apparecchia noi a morire, e colle noie e colla pietà che inspiriamo altrui in quello stato, dispone gli altri a sopravviverci senza dolore.

    Quella misteriosa espiazione che tutti sentono di subire nella vita, diventa sempre più attiva e più travagliosa, quanto più la vita stessa si avvicina al suo termine - o sia che l’espiazione affretti e addolori di più il termine della vita, o che il volgersi più rapido della vita al suo fine rincrudisca esso stesso la espiazione.

    Se ciascuno guardasse con imparzialità agli avvenimenti della propria vita, e ne indagasse e ne ricordasse le cause, e a quelle sapesse poi riferire con giustizia le conseguenze che ne derivarono o presto o tardi nel tempo, vedrebbe che tutto era successo pel suo meglio, e che ogni cosa era ordinata ad un fine da una volontà altamente provveditrice e benefica. Ogni uomo osservatore ha potuto riconoscere da sè questa verità nel corso della sua esistenza. - È cosa assurda il supporre che mentre tutto succede per leggi fisse e immutabili, la sola vita dell’uomo proceda a caso, quasi non avesse di sè e delle sue opere un fine. Bensì il caso non sussiste in natura; e per quelle opere che dipendono dalla sua volontà, e per la applicazione di quelle che non ne dipendono, ogni uomo è mastro della propria fortuna.

    Le rivoluzioni più notevoli della vita avvengono verso la sua metà, come in quell’epoca in cui ella cessa di posarsi in un presente durevole, e distaccandosi dal passato, si libra un istante sulla sommità della sua curva, e si precipita verso l’avvenire. Allora l’ordine dell’esistenza è invertito; tutto ciò che era salito discende, tutto ciò che soleva imporsi subisce, tutto ciò che soleva subire s’impone; l’azione e la passività si scambiano; vi è un mondo che si distacca da noi e un mondo che ci si avvicina, e se fino allora si era stati amati e protetti, d’allora innanzi bisogna amare e proteggere. Quale di queste due metà della vita sia più dolce e serena, o meno faticosa non so: in una le dolcezze del piacere e quella vaghezza di spensierirsi che è propria della giovinezza, nell’altra le gioie più nobili del sacrificio e dell’abnegazione - l’una e l’altra accettabili forse, e forse meglio quest’ultima. Ma sciagurati coloro che, avanti che la natura lo esigesse, giovani ancora o fanciulli, sono stati gettati dall’isolamento o dall’abbandono nella seconda metà della vita, senza aver gustato dell’altra quelle dolcezze che sole possono confortarci di questa.

    Tutto il meraviglioso dei sogni consiste in quell’ignoranza della verità, e in quell’impotenza di criterio che ha luogo per ciascuno in quello stato. Lo stesso può dirsi di quel dolce sognare dei fanciulli ad occhi aperti, e di quell’eterno vaneggiare e fantasticare che molti uomini semplici e immaginosi fanno anche in età più avanzata. Da ciò parmi poter dedurre che se la verità ed il senso pratico della vita rendono più leciti e più nobili i nostri piaceri, ne rendono però il numero più ristretto, e le varietà e le circostanze più castigate; e talora li inaridiscono per modo che non possiamo trarne altro conforto che quello di poter dire: sono veri!




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