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    Luigi Mercantini

    Affetto dell’amico lontano

    Lagrimato più ch’altri è il giovinetto
    Che fredda spoglia si riman tra’ lai
    De gli orbi genitor’: gli occhi pur anco
    Che mai nol vider, di dolenti stille
    Si van bagnando al suon del fiero annunzio,
    E lo imperchè non sanno. Altri colori
    Io non temprai pingendo il sonno estremo
    Del fratel di Lauretta; e nè pur dissi
    Tutto de’ suoi lo sconsolato affanno,
    Perchè la mesta pöesia più truce
    Fatto avrebbe quel duol che le trafitte
    Alme tuttor sì duramente preme;
    Anzi alcuna dolcezza entro a’ miei versi
    Volli diffusa, perchè fosse pieno
    Il desir di colui che in sin dal Misa
    Al garzon Canzanese era legato
    In rispondenza d’amoroso affetto.
    Questi nel giorno che nunciar s’udiva «
    Morto è l’amico tuo! « qual è chi privo
    Della miglior di tutte gioje sue
    Restò per fero caso, a me traea
    Senza conforto lagrimando: e dammi
    Dammi, o gentíl, dicea, di Pindo un fiore
    Per la tomba di Jacopo; e l’olezzo
    De le sue foglie metta un lenimento
    In chi sorvive a Lui, chiamando invano:
    Figlio! Fratello! — Ahi! sospirato amico,
    Sempre al cor quella triste ora mi torna
    Che, lasciando ’l tuo colle, addio l’un l’altro
    Pietosamente ci dicemmo; e fitte
    Come punta di chiovo ho in mezzo a l’alma
    Queste parole tue = Forse ritorno
    Tu farai qui; ma se parlar vorrai
    Con chi teco or s’abbraccia..... io là t’aspetto!
    E in questo favellar drizzava il dito
    A quel Campo funébre ove han quiete
    Le reliquie de l’uomo. Almeno un bacio
    Dar potess’ io su la modesta gleba
    Che ti ricopre! A’ troppo austeri ingegni
    Par delirio l’affetto che leggiera
    Vuol la terra sul capo a’ cari estinti,
    E prega lor mollissimi riposi;
    Ma questa è dolce illusïon che tanto
    Giova ne’ giorni del dolor! Non svegli
    L’amico mio, che dorme, il gemer lungo
    De l’úpupa funesta, e nè men s’osi
    A svolazzar su la sua fossa: invece
    L’allodoletta vi sospenda a giorni
    Del primo Autunno tremolando il volo;
    O pur ne l’ora sua, chiuso entro un salce,
    Trovi quel ch’egli sa più flebil verso
    L’usignoletto, e pianga. Oh! se intendesse
    Un leggiadro desío la peregrina
    Rondinella che nido ha sul mio tetto!
    Deh viemmi ’n grembo, le direi: di rose
    E di gesmini ho fatta una ghirlanda;
    Vedi? ell’è piccioletta, ed a te forse
    Non fia gran peso: or tu, che al vol sì ratte
    Hai l’ale, va con questa al feral clivo
    Che lungi è da Canzan quanto trarría
    Buon frombolier: tu là cerca la Croce
    ’Ve dell’amico mio leggesi il nome,
    E su le braccia sue pietosamente
    Lascia cader la grillandella mia.
    Non così tosto il sol le vaghe foglie
    Inaridisca, e non le sfrondi ’l vento!
    Ben so che breve dureran; ma quando
    Fia chinato ogni stel, gli eletti semi
    La pia zolla raccolga, e faccia quasi
    Ajuola di giardino intorno intorno.
    Al redir tuo nel nuovo April, m’arreca
    Una fogliuzza colà tolta: in serbo
    Io la terrò, siccome ultimo dono
    Che da la man di Jacopo mi venga
    Fin di sotterra. — Mentre il giovin mesto
    Sì gentili pensier’ mi ragionava,
    Nel libro de la mente ad uno ad uno
    Notando io li veniva, ed or li vesto
    Nel canto che Amistate al cor m’insegna.




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