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    Mario Rapisardi

    Canto dei minatori

    TRA cieche forre, tra rocce pendenti
    Su’l nostro capo, entr’oscure caverne,
    Fra pozzi cupi e neri anditi algenti,
    Fra rei mïasmi, fra tenebre eterne,

    D’ogni consorzio, dal mondo noi scissi,
    A nutrir gli ozj d’ignoti signori,
    Noi picconieri di monti e d’abissi
    Sepolti vivi scaviamo tesori.

    Scaviam tesori noi squallido armento
    A voi terreno concilio di Numi,
    Tesor di ferro, di zolfo, d’argento,
    Tesor di gemme ch’abbagliano i lumi.

    A voi la terra vestita di fiori,
    Le cene, i cocchi, i teatri, le danze,
    Gli stabili ozj, i mutevoli amori,
    Il compro riso d’eterne speranze;

    A noi non occhio d’azzurro, non sole,
    Non aura sana d’amore e di vita,
    Non guardo amico, non dolci parole,
    Ma pena eterna, ma notte infinita.

    Uomini forse non siamo? Qual tristo
    Destin c’infligge sì fiera condanna?
    S’esiste Dio, se incarnato s’è Cristo,
    Perchè a l’inferno ancor vivi ci danna?

    Scaviam, scaviam; chi sa? forse tra poco
    Ci mozza il fiato quest’aria maligna,
    Ci schiaccia il monte, divoraci il foco:
    Vedete? in fondo la morte sogghigna.

    Scaviam, scaviam le ree viscere a questa
    Terra a noi ricca d’obbrobrj e d’affanni;
    Finchè un sol guizzo di vita ne resta,
    Scaviamo il trono de’ nostri tiranni.

    Stridete, su, negre macchine immani,
    Argani urlate, picconi battete,
    Tuonate, mine, scoppiate, vulcani;
    Le nostre tombe mugghiando schiudete.

    Venuta è l’ora! Noi vili, noi rei,
    Ai forti, ai giusti sorgiamo davanti;
    Noi, bulicame d’abietti pigmei,
    Mirare in volto vogliamo i giganti.

    Noi v’abbiam dato l’immenso tesoro,
    Che in sen chiudeva gelosa la terra;
    Ma voi, titani de l’ozio, con l’oro
    Avete mossa a noi primi la guerra.

    Noi v’abbiam l’arche di gemme ripiene,
    E voi le figlie ci avete corrotte;
    Del ferro avete a noi fatte catene
    Per inferrarci a l’errore, a la notte.

    Del carbon adro, che l’arti ravviva,
    Che vi sfossiamo noi maceri e lerci,
    A voi calore, a voi luce deriva
    E pingui industrie e volanti comerci.

    Per voi spezziam le montagne, per voi
    Scendiam ne’ letti de l’igneo granito;
    E voi co’l marmo negato agli eroi
    Colossi ergete a chi il pan ci ha rapito.

    Eppur, vedete? siam buoni e cortesi,
    Benchè canaglia da forca e da fogna:
    Patrizj biondi, panciuti borghesi,
    Brindiamo un po’, non abbiate vergogna:

    Brindiamo insieme al Lavoro che affranca,
    A la Giustizia che l’opere abbella,
    Al pan che a noi, a l’onor che a voi manca,
    Ed a la Pace che tutti affratella.

    Ma voi fremete, ed offesi dal lezzo
    Dei nostri cenci torcete la faccia,
    E ci lanciate co’l vostro disprezzo
    Un duro tozzo e una vecchia minaccia.

    Voi minacciate? Codardi! Com’angue
    Le cento lingue il nostr’odio saetta:
    Non vogliam pane, ma sangue, ma sangue,
    Ma un giorno solo d’allegra vendetta.


    Giustizia 1883




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