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    Mario Rapisardi

    A giovinetta inferma

    Sotto la bianca coltrice
    Del tuo polito letticciuo ti vidi,
    O sofferente giovinetta, e quanta
    Pietà mi vinse da quell’ora il petto
    Del tuo stato infelice,
    Mortai labbro non dice. Era il tramonto
    E pe ’l cheto villaggio
    Incoronato del novello aprile
    Spargean l’imbalsamata aura gli aranci;
    Cinte di fior’ la testa
    Reddian le allegre villanelle a schiere
    Da la vicina festa,
    Ricordando un furtivo
    Guardo d’amore e un tenero saluto
    E lo splendor de’ ceri e degli arredi
    De la parata pieve
    E il patetico accento
    Del pio predicatore.
    In abito festivo
    Torna anch’esso l’assiduo zappatore,
    A cui non lieve ingombro è per la via
    L’insolito calzare;
    Su la tarda asinella
    Sen va cheto e satollo il buon pievano,
    Mentre scalzo ed ansante
    Da presso il segue il suo fedel garzone,
    Con la verga pungente e con la voce
    L’asin sollecitando al suo padrone.

    In quell’ora di festa al tuo romito
    Casolare venn’io: dolce ai soffrenti
    Dei soffrenti è il ritrovo. Al limitare
    Corsemi incontro il povero mastino,
    Adulandomi intorno
    E ai piedi miei sdrajandosi supino.
    Deserto era il cortile,
    E su l’incolta ajuola,
    Già dolce cura di tua man gentile,
    Morian le frondi e i fiori;
    Solo su l’infrequente uscio, ondeggiando
    Al dolcissimo orezzo vespertino,
    Qualche pallido fior piovea da’ rami
    Il lento gelsomino.
    Al tuo vegliato capezzal sedea
    L’addolorata madre,
    Spesso volgendo il ciglio
    A una pietosa immagin di Maria,
    Ch’à tra le braccia il figlio.
    Lesta intorno venia
    L’affettuosa tua sorella intesa
    Ai pietosi servigi; in su la porta
    Siede il buon genitore, e sottovoce
    Ripiglia il fratellino,
    Che ruzza dietro a l’infedel micino.
    De la lucerna al tremolante raggio
    Vidi il bianco tuo fronte e il fuggitivo
    Lume degli occhi tuoi
    E le diffuse chiome
    E l’aereo sorriso.
    Oh dimmi, a quali
    Fantasime di ciel guardi e sorridi,
    Candida giovinetta?

    Qual ti lusinga mai viso e splendore
    Di sempiterni lidi,
    Che ad occhio di felici Iddio contende?
    Qual su le tacit’ali
    Invisibile a noi spirto d’amore
    Per le sedi degli astri amor t’insegna?
    Dunque di questa nova
    Primavera terrena,
    Ove più agli occhi tuoi vita non splende,
    Ne fuggirai per sempre?
    Dunque sol dura prova
    D’ostinato dolore
    Degni del ciel ne rende?
    Deh ! se per lunga passion si trova
    Oltre i lacci del mondo amore e luce,
    Al luminoso e santo
    Volo, o fanciulla mia, tu mi sii duce,
    Che amore io cerco, e lungamente ho pianto!


    Le Ricordanze




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