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    Mario Rapisardi

    Per i tristi avvenimenti di Torino

    Se ancor sull’ultima alpe
    La minacciosa face Ira raccende,
    E l’itala bandiera
    Brutta d’italo sangue e di vergogna,
    Ora che al sol risplende
    La rinata virtù di nostra prole,
    Lascia gl’ingenerosi ozi, o severa
    Itala Musa, e parla agl’indevoti,
    Che tanto han fatto al nostro nome oltraggio,
    Il tuo securo e libero linguaggio.

    Chi la malnata gara
    In quegli animi accese e con qual mente?
    La rimembranza amara
    Copra fraterna carità ai nepoti,
    E la vendetta del rimorso occulta
    Piombi su la furente
    Turba briaca d’interessi osceni,
    E la nostra virtù non resti inulta.

    Quando su l’orme del destrier d’Alberto
    Il bellicoso Allobrogo movea
    Di Pastrengo sul campo e di Goito,
    Da l’Etna a le lagune
    Fraterno plauso universal sorgea;
    E fu speranza e serto
    Il piemontese eroe
    De la scissa penisola fremente,
    Che ne l’onda regal de l’Eridano
    Purgar sperava le vergogne antiche
    E di Novara al piano
    Stender le succedenti orde nemiche.

    Sopra la vetta alpina
    Or surse de la nova èra la stella.
    Ivi le formidate ali raccolse
    L’Aquila pellegrina
    Che di Vittorio al piede
    L’antico rassegnò fulmin di Roma.
    Sopra la nostra chioma
    Del lauro avito rinverdì la fronda,
    E deponendo la pretesta bruna
    La vilipesa ancella
    La mal sofferta clamide riprese,
    E conoscente in dono
    Al Sabaudo leon diede il suo trono.

    Chi di tante corone il crine ha cinto
    E alta sempre portò l’itala insegna
    E del suo sangue ha tinto
    Di nostra libertà l’ara più volte,
    Come e da quanta cecità sospinto
    Contaminar potea
    Tante glorie ed amor solo in un giorno?
    Ahi, forse allor distolse
    Da nostre sorti Iddio l’occhio pietoso
    E di nostra virtù volle altra prova;
    Forse tremenda e nova
    Scola fu questa agl’itali risorti,
    Onde al cimento estremo
    Esperti nel dolor sorgan più forti!

    Ma tu, che dalle prode
    D’Anglia, nei tuoi devoti ozi securo
    Sbalzi ad un cenno i despoti superbi
    Da l’eredato trono
    E al destin nostro il vigil occhio intendi,
    Se giusta carità di noi pur serbi,
    Perchè di tanto errore italo il suono
    Al tuo plauso fatal cresci e inacerbi?
    E indegno odio novello
    Con la potenza dell’eloquio accendi?
    Oh, taccia la profana
    Voce che all’armi grida e al tradimento.
    Chi or scinder cerca i regi itali fasci,
    Nel petto del fratello
    Seminando discordie orride e vili,
    Il sol nemico, il traditore è quello!

    Con qual cor con quali armi e qual nemico
    Combatterem? Benchè nemico occulto
    Ancor Brenno ci giova, e opra da stolti
    Provocar che la lunga ira repressa
    Scoppi in aperta guerra!
    Ancor l’itala terra
    Molle è del vostro sangue, itale genti;
    Salde non sono ancora
    Di Solferino e di Marsala ai prodi
    Le gloriose piaghe, e incerti e scarsi
    Saran contro tant’oste i nostri acciari.
    Su la superba oppressa
    Dogaressa invincibile dei mari
    Batton l’ugna irrequete
    Le teutone cavalle
    Avide de le pingui insubre avene,
    E di più lungo freno impazienti
    Come terribil nembo
    Già irrompono frementi
    A ingombrar nostre messi
    E a lacerar di quest’Italia il grembo.

    Sottesso alla secura
    Ombra de la polluta arca di Cristo
    Di rubelli al Signor turba s’accampa,
    E tradimenti vili orde e matura.
    Da barbare falangi esercitate
    Sono l’eterne mura
    Che fùro un dì dei barbari la tomba;
    E il pescator di Galilea la rete
    Tende, ed al ciel non pesca
    Tesor di penitenti alme pietose,
    Ma orride ciurme adesca
    Di belve immansuete
    Solo di preda e di sangue bramose,
    Ed ostinato all’ultima battaglia
    Contro Israele e contro a Dio le scaglia.

    Deh, la fraterna gara
    Cessi una volta, e l’interesse indegno
    Di sì lunghi martíri non assonni
    Il tuo cor generoso, Eridanina
    Sempre donna regal, benchè ci additi
    Nostro fato per or d’Arno la riva.
    Ne l’insubre sorella,
    Guarda e ti specchia, e in lei che dal Vesèvo
    Partenopea regina
    Sol de l’italo ben guarda a la stella,
    D’amor di patria esempio e meraviglia;
    Tu lor fisa le ciglia
    Di pentimento e di dolor commosse,
    Ed ai cognati eroi
    Serra l’invitta mano
    Sinchè fian tutti i fati a noi maturi
    E non ci arrida la speranza invano.

    Voi, che reggete il corso
    Di questa irrequieta Aquila indoma
    Di vil paura il morso
    O amor di mal secura aura di plebe,
    Da sì giusto terren mai non rimova
    Sopra i toscani allori,
    Come di questa Italia amor consiglia,
    Vigili a le nemiche armi starete;
    E il livido corruccio,
    Se ancor negl’inclementi animi dura,
    Da l’ausoniche mura
    Tuoni l’ira di Dante e di Ferruccio!

    E se il secondo sole
    Sorgere non vedrem dal Campidoglio
    A illuminar gii allori
    Di Garibaldi e di Vittorio il soglio,
    Oh venite, accorrete, itale genti,
    De la riscossa è l’ora!
    Come leoni per lungo digiuno
    Sorger potremo allora
    Per lungo amor più stretti e più possenti
    E vedrà Francia e Asburgo e i traditori
    Se abbian fulmini ancor l’itale spade,
    Se all’Aristide nostro e a noi da canto,
    Leonida novello,
    Vincer sappia o morire Emanuello!


    Ottobre 1864




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