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    Silvio Pellico

    La Croce

    Confidite: ego vici mundum!
    (Ioh. c. 16.)


    E chi ingannato non sariasi quando
    All’inesperto giovane intelletto
    Tal si volgea drappello venerando
    Per alta fama ed eloquente affetto,
    Che virtù promettendo, ed appellando
    A sublimanti indagini ogni petto,
    Dicea: « Siam nati a illuminar la terra,
    A tutte ipocrisie movendo guerra! »

    Qual età vide mai zelo cotanto
    D’ardenti ingegni, or concitati all’ira
    Contro menzogna, or concitati al pianto
    Sulle stoltezze in che il mortal delira?
    Sì che spesso il lor dir quel grido santo
    Parea che il cielo a’ suoi profeti ispira,
    Onde riscosse da letargo indegno
    Movan le genti di giustizia al regno!

    Tonerà in quanti secoli fien dati
    Alla palestra degli spirti umani,
    Tonerà il giusto contro i danni oprati
    Da’ fratelli perversi e dagl’insani;
    E quel tonar perenne i cor bennati
    Da ignobil opra tener può lontani,
    E più li infiamma od infiammar dovria
    A sacrifizi, a onore, a cortesia.

    Ma sciagura sui popoli e sui regi
    Quando frammisti a nobili pensieri
    Potentissima scuola alza dispregi
    Sovra la fonte degli eterni veri!
    Sciagura sugli stessi animi egregi
    Che allor di luce esser vorrian forieri!
    Del vaneggiar d’illustre scuola tersi
    Arduo a loro medesmi è rimanersi.

    Ed in simile tempo io son vissuto!
    Famosi audaci avean deriso l’are,
    E affascinata dallo scherno astuto
    Prendea quelli la turba a idolatrare;
    Bello parve ostentar disdegno arguto
    Verso chi preci a Cristo osasse alzare,
    E più d’un per viltà vituperava
    Quell’Evangel ch’ei pur nel cor portava.

    Io dentro al cor portava l’Evangelo,
    Nè bestemmie contr’esso unqua avventai;
    Ma perchè s’irrideano e preci e zelo,
    Non curanza di Dio spesso mostrai,
    E agguagliato agli immemori del cielo,
    Plausi e piaceri e vanità anelai;
    E pur nell’alma ognor udia una voce,
    Che dicea: «Dove vai? Riedi alla Croce!

    » Riedi alla Croce! mi dicea; si sforza
    Calunnia indarno di tenerla a vile:
    La Croce sol gl’indegni fochi ammorza,
    La Croce sol fa l’uom grande e gentile,
    La Croce sol dà all’intelletto forza
    Di diventare all’Uomo Iddio simile;
    Se ipocriti talor stanno a’ suoi piedi,
    Non fuggirla perciò: gemine, e riedi!

    » La Croce altro non è ch’alta dottrina
    Di generosi e giusti sacrifici;
    La forza d’affrontar doglie e rovina
    Per giovare a’ tuoi cari e a’ tuoi nemici;
    L’ardir congiunto ad amistà divina;
    La virtù che nel cielo ha sue radici.
    Chi per la Croce, ov’ei non sia demente,
    Meraviglia ed ossequio e amor non sente?

    » E se tu vedi ciò ch’ell’è, se l’ami,
    Perchè di lei vilmente arrossirai?
    Perchè, se il travïato empia la chiami,
    All’impudente voce arriderai?
    Di lui spregia e compiangi i ghigni infami,
    Nè incodardir, sotto agli obbrobrii mai:
    Della Croce magnanimo seguace,
    Dimostra quanta in abbracciarla hai pace.

    » Dimostra che la Croce a chi davvero
    Suoi pregi indaghi, scema ogni amarezza;
    Dimostra col tuo oprar, non esser vero
    Ch’ella guidi a torpore ed a fiacchezza;
    Dimostra che alto fa l’uman pensiero,
    Che a tutti i grandi e forti atti lo avvezza;
    Dimostra che se ride all’ignorante,
    Pur del nobil sapere è sempre amante!

    » Pari ad ogni miglior vantata scuola
    La Croce insegna dignità ed amore;
    Ma in lei sol v’è possanza di parola
    Che inforzi, e persüada, e appuri il cuore;
    Unica le angosciate alme consola,
    Unica abbellir puote anco il dolore:
    Ogni scuola miglior tituba e illude,
    Dubbii ed error la Croce sola esclude ».

    Tal mi sonava in cor voce gagliarda,
    Or è gran tempo, e s’io non l’obbedìa,
    Del mio spirto esitanza era infingarda,
    E di rapidi, lieti anni malìa;
    La retta via scernendo, io la bugiarda
    Con secreti rimorsi ognor seguìa:
    Mesto or che tanto resistessi al vero,
    Miro la Croce — e in sue promesse io spero!




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