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    Iacopo Vittorelli

    Ode 1

    Per la ricuperata salute del Nobil Uomo
    Signor Ferdinando Toderini
    illustre Poeta
    .


    OH come mai s’intorbida
    Quella pupilla vivida!
    Come la guancia morbida
    Diviene asciutta e livida!

    Io di Fernando al risico
    Gelo per tema subita,
    E il consultato Fisico
    Pensa, ripensa, e dubita.

    Ei presso al vacuo talamo
    Sta con pietosa indagine,
    E invano il dotto calamo
    Verga salubri pagine.

    Licor non v’ha sì nobile,
    Non erba, o sasso, o polvere,
    Che sappian quell’immobile
    Febbre crudel risolvere.

    Al duro affanno, al tremito
    De la consorte pallida
    Risponde oimè! col gemito
    La famigliuola squallida.

    Sul suolo intanto giacciono
    Le corde d’oro armoniche,
    E Grazie e Muse tacciono
    Disperse e malinconiche.

    Quali per lui si udirono
    Inni, che alati e rapidi
    Corsero Italia, e girono
    Fino a l’Erculee lapidi?

    Cantò l’eterno fulmine,
    Che con orrendi sibili
    Squarcia il petroso culmine
    De l’alpi inaccessibili.

    E il mar, che d’acque gravido
    Sormonta i gioghi Atlantici,
    E il buon Noè, che impavido
    Spreme dal seno i cantici.

    Me volle pur di lucida
    Onda Castalia aspergere,
    Nè temerò la sucida,
    Che mi volea sommergere.

    Talora sparse a l’etera
    Un suon più basso e facile
    Cangiando l’aurea cetera
    Ne la sampogna gracile.

    Per lui tra sassi frangere
    S’ udiro i fonti ceruli:
    Per lui s’udiron piangere
    Gli usignuoletti queruli.

    A’ carmi suoi restarono
    I pastorelli attoniti:
    A’ carmi suoi stillarono
    Mele perfin gli aconiti.

    Talora amò di pungere
    Lidia, che al terso specolo
    Siede le carni ad ungere
    Vizze per troppo secolo.

    Punse gli Adon, ch’ esultano
    Fra i lini e i merli Batavi,
    E a le frugali insultano
    Pentite ombre de gli Atavi.

    Punse l’innumerevole
    Schiera, che in Pindo gracida,
    E d’armonia stucchevole
    La sacra rupe infracida.

    Ahi come tutto è labile!
    Freddo silenzio e ruggine
    Del Vate deplorabile
    Or copre la testuggine.

    Dunque negate al misero
    Saran le forze pristine?
    Dunque gl’iddii permisero,
    Che il suo morir contristine?

    Da colpo sì terribile
    Il ciel pietoso guardine,
    Nè strida l’inflessibile
    Porta sul negro cardine.

    S’ei manca, d’aurei numeri
    Chi fia che più satolline?
    Oh! metta l’ale a gli umeri,
    E scenda tosto Apolline.

    Divinità pacifica,
    Tenero nume Aonio,
    Tu l’erba più vivifica
    Cerca nel suol Peonio.

    Segua felice a splendere
    Di tante doti il cumulo.
    No che non deve scendere
    Pari valor nel tumulo.

    No, no.... Ma quai fiammeggiano
    Astri nel ciel sì nubilo?
    Quai voci intorno eccheggiano
    D’ìnesplicabil giubilo?

    Fernando (i lidi suonano)
    Salvo è Fernando esanime.
    I numi lo ridonano
    A le sensibil’anime.

    Dunque fia vero? E sospite
    Degg’io Fernando credere?
    Al mio signore ed ospite
    Io potrò dunque riedere?

    Il cor nel sen mi tremula....
    Il piè vacilla e arrestasi.. ..
    Questa è una gioja, ch’emula
    Tutto il piacer di un’estasi.

    Quell’io, che dal rammarico
    Sentiami l’alma svellere,
    Or di letizia carico
    Vo’ coronarmi d’ellere.

    Ah! mentre salvo e intrepido
    Lo abbraccio, e risalutolo,
    Favelli il pianto tepido,
    Se il labbro resta mutolo.
    Deh!

    Deh! poi che gli alti Superi
    I nostri voti accolsero,
    Tutti que’ don ricuperi,
    Che i morbi rei gli tolsero.

    Non osin più le indomite
    Febbri co gli occhi maceri
    Destargli in seno un fomite,
    Che lo depredi e laceri.

    Lo ricominci a pascere
    Sodo vigor Nestoreo,
    E cento volte nascere
    Ei vegga il crine arboreo.

    Io mando un grido altissimo:
    Tu, che le sfere domini,
    A lieto fin tardissimo
    Serba il miglior de gli uomini.




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