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    Iacopo Vittorelli

    Ode 3

    Alla nobile ed ornatissima signora Elisabetta Parolini

    Mandandole una Satira composta da un illustre Poeta Veneziano, che scrive egregiamente in quel dialetto, e che molto era ritroso a concederla.


    PLACATI, o Elisa bella,
    Torna serena e lieta:
    Io vinsi del Poeta
    La docile ragion:

    Poeta, che per vezzo
    Le Tosche forme ignora,
    E i modi suoi colora
    Nel Veneto sermon.

    Ei de l’Ascrea montagna
    Odia le dure spalle,
    E ne la bassa valle
    Soffermasi a cantar.

    Non chiede il verde alloro
    Lassù concesso a pochi:
    Fra i Satiri e fra i Giochi
    Gli piace conversar.

    * * *

    Un giorno che de l’Adria
    Io vidilo nel Foro,
    Là dove il tempio d’oro
    Eretto a Marco sta:

    Fermati, o Vate, io dissi;
    Fermati, e non negarmi
    Que’ tuoi recenti carmi
    In segno d’amistà.

    Sai tu chi li sospira?
    Sai chi gli attende? Elisa,
    Essa di dolci risa
    Sparge il tuo dolce stil.

    Ah! se destar la gioja
    Godi co’ versi tuoi,
    Destarla affé non puoi
    Su labbro più gentil.

    * * *

    Perchè non ti descrivo
    Le amabili sue tempre,
    Che spirano mai sempre
    Un’aura di favor?

    Quante del suo bel core
    Grazie mi stanno intorno!
    Fu questo stesso giorno1
    Di grazie apportator.

    Sul mio privato desco
    Risplende il sacro dono,
    E par che in basso suono
    Dica e ridica a me:

    Di sua memoria ancora
    Elisa ti fa degno.
    Guardami: io sono un pegno
    De la sua bella fe.

    * * *

    Un lustro intero, o Amico,
    Io vissi a lei congiunto,
    E un lustro intero appunto
    Mi parve un giorno sol.

    Un lustro è già ch’io vivo
    In sen de l’onde amare2,
    E un lustro, oh dio! , mi pare
    Un secolo di duol.

    Se tu vedessi appena
    Il suo leggiadro aspetto,
    Ti sentiresti in petto
    Un improvviso ardor.

    Essa i preclari ingegni
    Venera, onora, accoglie,
    E le ospitali soglie
    Tiene dischiuse ognor.

    * * *

    Essa de’ studii amante,
    Non di ricamo o fuso,
    Spesse fiate ha in uso
    I carmi altrui ridir.

    Dunque che più resisti?
    Cedi a la mia preghiera,
    Invan da te si spera
    Deludermi, e fuggir.

    Dissi: e il gentil Poeta,
    Che l’alma avea già tocca,
    Con un sorriso in bocca
    Gridò: vincesti alfin.

    Prendi i gelosi carmi,
    Che a gli occhi altrui nascondo,
    E d’esser sì facondo
    Ringrazia il tuo destin.

    * * *

    Placati dunque, o Bella,
    Torna serena e lieta:
    Io vinsi del Poeta
    La docile ragion:

    Poeta, che per vezzo
    Le Tosche forme ignora,
    E i modi suoi colora
    Nel Veneto sermon.

    Deh! senti. Allor che Maggio
    Rieda tranquillo e chiaro,
    E non ti sia discaro
    Volgere a l’Adria il piè;

    Fa che l’amico Vate
    Veggati un solo istante,
    E nel tuo bel sembiante
    Trovi la sua mercè.

    Note

    1. L’Autore avea ricevuto in dono da lei un superbo Calamajo di Porcellana.

    2. L’Autore abitava allora in Venezia.




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