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    Ippolito Nievo

    Rodogauso longobardo

    Per la strada di Ragogna,
    ne la gran notte stellata,
    tutta d’armi risonante,
    va la fiera cavalcata.

    La precede a rompicollo
    su di un misero ronzino
    Vitichindo traditore,
    che del re fu paladino.

    « Su d’Osoppo buona gente,
    arimanni e masnadieri,
    presto in arme, alle bertesche
    su correte dei manieri.

    Vien dal colle ruïnosa
    una fiera cavalcata
    verso Osoppo, e si prepara
    una assai dura giornata.

    Gigli d’oro ha sugli scudi;
    ma le spade ha d’acciar fino,
    e la guida il buon Orlando
    di re Carlo paladino. »

    Arimanni e masnadieri
    balzan tutti spaventati,
    suonan le armi, ed in gran fretta
    i destrieri son sellati.

    Rodogauso longobardo
    tutti a sè chiama dintorno,
    mentre insanguina le nubi
    ad oriente il nuovo giorno.

    Ei cavalca un caval nero,
    ed ha nero il grande scudo,
    l’asta ha in pugno, al fianco l’azza,
    ed il bianco capo ha nudo.

    « Arimanni e masnadieri,
    egli dice, e bravi aldioni,
    che da mesi e mesi siete
    rotti a tutte le tenzoni,

    che da mesi e mesi in arme
    vigilate, e delle stelle
    al bagliore, il capo stanco
    riposate su le selle,

    ecco spunta la giornata
    della vita o della morte;
    sulla punta delle lance
    oggi sta la nostra sorte.

    Non ripari, non bertesche;
    il buon dritto con noi sta,
    vinceremo o moriremo
    per la santa libertà ».

    Ed il fiero capo bianco
    del gran nero elmo coperto,
    varca il fosso del maniero
    per pugnare in campo aperto.

    Segue tutta la masnada
    stretta dietro al suo signore;
    sol rimane tra le mura
    Vitichindo traditore.

    Dalla strada di Ragogna,
    tutta d’armi risonando,
    viene intanto la furiosa
    cavalcata di Rolando.

    Una selva par di lance
    nell’aurora scintillante,
    sembra un muro di palvesi,
    che si avanzi sfolgorante.

    Sembra un’onda di procella
    ogni groppa di destriero;
    ogni selce ha una scintilla
    tra la polve del sentiero.

    La montagna ne rimbomba,
    ne rimbomba la vallata.
    Come nembo ruïnoso
    vien la fiera cavalcata.

    Ma sul prato rosso e azzurro
    di papaveri e viole,
    la masnada longobarda
    sta schierata in faccia al sole.

    Sulla punta delle lance
    corron fremiti e faville,
    sprizzan lampi dagli scudi,
    dalle spade a mille a mille.

    Ecco, sopra il caval nero
    Rodogauso, a capo chino,
    primo corre a vibrar l’asta
    su Rolando paladino.

    Dietro a lui, serrata e folta,
    la masnada si disferra.
    L’aria trema, al grande cozzo
    par che tremi anco la terra.

    Tutto il giorno d’arme suona;
    ma al tramonto sovra il prato
    giacque alfin d’Orlando al piede
    Rodogauso insanguinato.

    Nel gran petto duo gran varchi
    Durendala aperti avea;
    dalle orribili finestre
    il cadente sol ridea.

    E il gran corpo abbandonato
    tra papaveri e viole,
    nella pace della morte
    riposava in grembo al sole,

    quando ai merli del maniero
    ributtante apparve fuor
    appiccato per la gola
    Vitichindo traditor.

    Nota

    È tradizione che Orlando paladino uccidesse presso Osoppo Rodogauso, ultimo duca longobardo del Friuli, che seguiva la parte di Adelchi contro i Franchi invasori.


    Canti del Friuli




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