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    Ippolito Pindemonte

    La Giovinezza

    I.

    Di folto e largo faggio
    Sotto l’intreccio verde,
    Per cui varcando perde
    Il più cocente raggio,
    Un bel mattin di Maggio
    Vidi posare il fianco
    Bellissima una Donna:
    Il color della gonna
    Era purpureo, e bianco.

    II.

    In questo, e in quel colore
    La guancia si tingea:
    Nelle pupille ardea
    Un tremolo fulgore.
    Par che il seren del core
    Su la fronte si spanda,
    E passi in chi la mira;
    E intorno al crin le gira
    Di rose una ghirlanda.

    III.

    È dunque invan ch’io scampo,
    Amor, dalla tua mano,
    Ed io qui fuggo invano
    Della tua face il lampo.
    Se tra la selva e il campo
    S’offron tai rischi al ciglio,
    Per pace invan qui movo,
    Poi che maggior non trovo
    Nelle città periglio.

    IV.

    Levossi allora, e il viso,
    Come se letto intero
    Avesse il mio pensiero,
    Colei vestì d’un riso.
    Poi, guardandomi fiso,
    Fece volar tal suono:
    Non dubitar, più mai
    Tu non mi rivedrai,
    La Giovinezza io sono.

    V.

    E volte a me le spalle
    Si pose tosto in via.
    Degli occhi io la seguía,
    Ch’iva di valle in valle;
    E lei veggendo il calle
    Premer con gran prestezza,
    Nè su la propria traccia
    Rivolger mai la faccia,
    Dissi: è la Giovinezza.

    VI.

    Dunque i bei dì fuggiro?
    Io Primavera ovunque
    Volgo le ciglia dunque,
    Fuor che in me stesso, or miro?
    Ragion, con te m’adiro:
    Quel volator selvaggio
    Canta, e non sente affanno,
    Che tolto gli abbia un anno
    Il ritornato Maggio.

    VII.

    Del tempo ancor non giunto,
    Di quel per sempre scorso
    Nè tema, nè rimorso
    Lo tiranneggia, punto.
    D’amico, o di congiunto
    Nell’imbianchito crine,
    Nel viso trasformato
    Non legge il proprio fato,
    Non legge il proprio fine.

    VIII.

    Ma tal meco rampogna
    Usa un pensier: Son questi
    Gli affetti alti ed onesti,
    A cui tuo spirto agogna?
    Deh gli occhi util vergogna
    Ti schiuda, e le Compagne
    Riguarda omai di quella
    Bellissima Donzella,
    Che ora da te si piagne.

    IX.

    Una di queste getta
    Qua e là gli sguardi ognora,
    Muta spesso dimora,
    Ed Incostanza è detta.
    Vedi quell’altra? In fretta
    Tutto far suol, nè, come
    Su la mal nota strada
    Pianti il suo piè, mai bada,
    Ed Imprudenza ha nome.

    X.

    Ah tolgano le stelle,
    Che, partita la Diva,
    Teco su questa riva
    Rimangano le Ancelle.
    Tutte l’età son belle:
    E la Saggezza vera
    Gode, benchè sul crine
    Biancheggino le brine,
    Gioconda Primavera.


    Poesie campestri




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