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    Nicola Sole

    Sulla tomba di Alessandro Poerio

    Poi che la patria carità v’ispira,
    Si compia, alme bennate, il vostro intento:
    Altar di gloria, di vendetta e d’ira
    S’alzi al guerrier di Mestre un monumento.
    Devoto al culto dell’Ausonia lira,
    Io mesco alla vostr’opra alcun concento;
    Io presso al marmo sepolcral mi assido,
    E a voi, figli d’Italia, innalzo un grido.

    Bella è la tomba del guerrier; divina
    Perpetua luce marzïal vi splende:
    Il navigante di lontan la inchina,
    Per essa il prode di valor si accende:
    La rispettano i Nembi e la Rovina,
    Più cara il Tempo ai posteri la rende;
    Ch’ove ne sperda le colonne infrante,
    Ne fa sacra la polve al viandante.

    Bella è la tomba del guerrier: prudenti
    Vecchi le fan corona alla tard’ora;
    Leggono in essa i giovinetti ardenti
    Pel paese natal come si mora.
    Presso la tomba del guerrier non senti
    Quella mestizia sepolcral, che accora;
    Ivi la morte d’ogni orror si spoglia
    E mille petti ad incontrarla invoglia.

    La morte è carca di spaventi e pene
    Quando per morbi i nostri letti invade,
    Ma quando presta e inopinata viene
    Sovra la punta di cozzanti spade;
    Un sovrumano incanto in sè contiene,
    Quasi fanciulla d’immortal beltade;
    Fra l’armi esulta scapigliata e ride,
    E nel delirio de’ trionfi uccide.

    O fratelli nell’ira e nella speme,
    Dunque l’opra risponda al vostro intento,
    Perchè d’un prode le reliquie estreme
    Abbian di eletti marmi un monumento.
    Balda sovr’esso e sconsolata insieme
    Segga Italia in guerrier paludamento,
    Colle insegne del braccio e del pensiere
    Croci, seste, volumi, arpe e bandiere.

    Ma non sia questo, Itala gente, il solo
    Onor renduto a chi morìa pugnando.
    Finché d’Italia le marine e il suolo
    Servono ai campi del tedesco brando,
    E noi staremo a consumarne in duolo
    Piangendo sempre e monumenti alzando,
    L’onor del pianto, de le tombe il culto
    È a noi vergogna ed agli estinti insulto.

    Nelle felici età, quando più forte
    La virtù greca e l’ira ardea nei cuori,
    Rimanevan le donne entro le porte
    L’urne de’ prodi a coronar di fiori:
    Gli uomini chiusi in trionfal coorte
    Uscian gli estinti a vendicar di fuori;
    Poscia tornando dal sanguigno agone
    Cingean quell’urne e v’appendean corone.

    Sia delle donne il pianto: a noi le spade
    Splendan nel pugno, a noi parli vendetta:
    Forse matura non tornò l’etade?
    Che si spera, o speranti, e che si aspetta?
    Speriamo or noi che l’Itale contrade
    Difenda Iddio coll’immortal saetta?
    Cogli operosi è Dio, nè volge il guardo
    Sull’affanno del pigro e del codardo.

    Potea d’un cenno dal Caos profondo
    Chiamar la terra, e sette dì pur volle:
    Potea redimer con un guardo il mondo;
    E diede sangue sul nefando colle:
    Onnipotente, Ei sobbarcossi al pondo
    De la fatica, e imporporò le zolle;
    E noi misero fango, abbietti vermi,
    Vogliam francarne sonnolenti e inermi.

    Di forza i lombi Ei non ne cinse invano,
    Non ne die’ braccia a trascinar catene;
    Nè vanamente questo incendio arcano
    Di libertà ne pose entro le vene;
    Nè invan, morendo, apprese al germe umano
    Che sol per sangue in libertà si viene;
    Nè invan nel mare de’ consigli sui
    Ne die’ quest’alma, che somiglia a Lui.

    Se noi, credenti, come siam, nel Cristo,
    Sarem da meno d’un pagan guerriero,
    De’ forti il Dio, pria che sottrarne al tristo
    Servaggio, onde abbiam grave anche il pensiero,
    In fondo al Ciel dagli Angeli fia visto
    Gli occhi ritrar dal nostro vitupero;
    Onde novellamente Ei non si penta
    D’aver fatta la Terra, indi redenta.

    Più che altri, noi, se languirem codardi,
    Stancata avremo la Pietà Divina:
    Abbiam tre mari e l’Alpi a baluardi,
    Abbiam le glorie dell’età latina,
    E l’isole e i vulcani e i più gagliardi.
    Geni e del mondo la città regina;
    Siam confortati da un April perenne,
    Dell’Occidente abitiam l’Edenne!...

    Or dove son gli Arcangeli pugnanti
    Sulle porte di questo Eden divino?
    Ove i forti leon schierati innanti
    A questo Esperio incantator giardino?
    Qui non ascolti che querele e pianti,
    E rampogne al Tedesco ed al destino!...
    Ma con quest’armi in che potran giovare
    E l’isole e i vulcani e l’alpi e il mare?

    Guerra ovunque si grida: e guerra è questa?...
    Pochi fra tanti milion d’ignavi,
    Pochi forti, sol pochi! alzan la testa,
    E in disperata guerra imitan gli avi.
    Guerra fatal, più che il servaggio infesta,
    Che in disugual certame annienta i bravi.
    O cresca, o cessi, onde non tolga a noi
    Finanche il germe produttor d’eroi.

    Guerra fatal per cui malignamente
    Grida il Tedesco dileggiante e bieco:
    — Tutto, codesta nazion demente,
    Per ricacciarmi nei miei monti, ha seco;
    Pur nel suo grido teatral fidente
    Spuntar s’avvisa i brandi miei coll’eco!
    Gridi a sua posta: io la combatto e rido,
    E a le sue mense vincitor m’assido. —

    Così, per Dio, quest’irrisor non disse
    Sui campi di Legnano al tempo antico,
    Quando la barba per furor si scisse,
    Vinto fuggendo, il fulvo Federico.
    Allor, composte le fraterne risse,
    Forte Italia s’alzò contro al nemico,
    E volle e vinse! Oggi seguendo altr’orme,
    Or piange, or grida, or pargoleggia, or dorme.

    Oh vitupero! — E fosse questo almanco
    Il sol fra tanti, onde siam carchi e brutti,
    Siccome popol per gran guerra stanco,
    Ineccitati da cotanti lutti,
    Alternamente dal Britanno al Franco
    Siam libertade a mendicar ridutti;
    E tanto il nostro intendimento è cieco,
    Che v’ha chi speri a redentor l’Austrieco.

    Ahi perchè tali! Con dimesse fronti,
    Quasi colà non sian figli d’Adamo,
    Sogguardando oltremari ed oltremonti,
    Ivi la nostra libertà speriamo:
    Ed esser ivi le inesauste fonti
    Del nostro mal per lunga età sappiamo:
    Lo sa Venezia, la città di Giano,
    Firenze, Pisa, e più di lor Milano!

    Quante volte per Dio, de’ padri spenti
    Fin dai sepolcri non gridò la voce:
    Da libertà straniera, Italia, astienti;
    Chè questa passa, come vien, veloce,
    Chè lo stranier per variar d’eventi,
    Ti toglierà, ti rimporrà la croce.
    Ei se conviengli, oggi ti gitta un pane,
    Se nuoce a lui, tel niegherà dimane!

    Io non insulto ai forti. — Anche il Britanno
    Palpiti generosi alberga in petto:
    Soccorrevole il Franco al nostro affanno
    Talor die’ segni di fraterno affetto —
    Ma le vicende umane in guisa vanno,
    Che sempre al protettor serva il protetto:
    Guai per un popol lungamente oppresso,
    Se non invoca a protettor sè stesso!

    Allor che giorni splenderan divini,
    Ed una patria ed una lingua avremo,
    Nè più sul mondo esisteran confini,
    Lo stranier soccorrente abbracceremo.
    Ed ove anch’oggi per celesti fini
    Ei sovvenir ne debba in tanto stremo,
    Tutti armati ne trovi e combattenti
    Onde a un tempo ne aiuti e ne paventi.

    E sian menzogne le memorie antiche;
    E serva lo straniero al nostro dritto.
    Che? Per terra non sua l’aste nemiche
    Ei sfiderebbe in marzial conflitto,
    E noi dal grembo delle nostre amiche
    Vedremlo in campo agonizzar trafitto?
    Ben l’universo griderìa sdegnato
    Che fu giusta con noi l’ira del fato!

    Tolga tant’onta Iddio. Se ancor non hai,
    Popol d’Italia, alcun coraggio in seno,
    Pretendi men dagli altri; e il merto avrai,
    Che dessi ai giusti sventurati almeno:
    Cessa dai gridi e dai perpetui lai;
    Senza essi fora la vergogna meno!
    Fra l’ire almanco di tua sorte infida,
    Ti compianga la terra e non t’irrida!

    Non siasi indarno tanto sangue effuso
    Da pochi ardenti, generosi eroi!
    Oh pel guerrier, che in quest’urna fia chiuso,
    Figli d’Italia, io mi rivolgo a voi!
    Ch’egli non abbia a maledir deluso
    Al sangue sparso pei fratelli suoi!
    L’eroe più sconsolato egli non sia
    Fra i martiri di Grecia e d’Ungheria.

    Quest’Italia dorò degl’innocenti
    Suoi sonni il sogno: a questa Italia aderse,
    Adulto nella vita, i suoi concenti:
    D’Italia pianse ne le sorti avverse:
    Tutto sfidò per lei: tutt’i tormenti
    Che sa crear la tirannia, sofferse:
    E sempre in lei tenne pensiero e ciglio
    Fra gli orror de la guerra e dell’esiglio.

    Ei non volò fra l’armi, uso com’era,
    Penna ed arpa trattar, perchè cadesse
    Sotto ai suoi colpi l’inimica schiera,
    E in lui la patria il suo campion si avesse;
    Altra speranza il mosse, e lusinghiera
    Fra l’armi e il sangue perigliante il resse:
    Sperò che fosse la sua morte ardita
    Al cor dei pigri incitamento e vita.

    Ma — poeta guerrier — quando cadevi
    Innanzi all’ira dei tedeschi acciari,
    E nel nome d’Italia il dì perdevi
    Ai suoi cieli converso ed ai suoi mari,
    O poeta guerrier, tu non sapevi
    Quanto noi siam del nostro sangue avari,
    Tu non sapevi che devota ai marmi
    Italia abborre la battaglia e l’armi!

    Or che parlo più d’armi e di battaglia?
    Noi siam di tutto avari e ingenerosi!
    Delle donne e dei figli or sol ne caglia,
    Di campi arati e dei tesauri ascosi:
    Importa forse che doman ne assaglia
    Il Tedesco sprovvisti e inoperosi?
    Quando verrà, nei suoi rapaci artigli
    Porrem le donne, le derrate e i figli.

    E liberi sarem! Mora frattanto
    Di Venezia la schiera e invan ne chiame!
    Spasimi senza pane e senza pianto,
    Qual fosse di pirati un’orda infame.
    Già su quel popol dai travagli affranto
    Più che il nemico acciar puote la fame.
    A noi danze e teatri, a noi tesori,
    A quel popol guerrier fame e dolori!

    Freme il Canuto Eroe poggiato ai fianchi
    Dell’alato Leon, medita e freme:
    La man cacciando nei capelli bianchi,
    Guarda d’Italia le sciagure estreme.
    E perchè i suoi d’alcun conforto infranchi
    Talor dà segni di novella speme;
    Ma chi può dir le angosce e l’infinito
    Profondo lutto di quel cor tradito?

    Canuto Eroe! Quando sarai sotterra
    Martire illustre della nostra fede;
    Quando fia vana, anzi fatal, la guerra,
    Di splendido sepolcro avrai mercede!
    Altro omai non sa dar l’Itala terra
    Che tombe, incensi e mortuarie tede;
    Son queste le sue guerre e i suoi trofei:
    E il dican tanti che morir per lei.

    Ma tu dura, o guerrier! — Venezia dura;
    E noi di nuova carità provvedi:
    Tu che ti avesti nella tua ventura
    Tutte le gemme d’Oriente ai piedi;
    Per quest’Italia, che di te non cura,
    Mendicando pel mondo un pan già chiedi!
    Eroina del mar! Siegui i tuoi fati;
    Nè ricordar sul tuo cammin gl’ingrati.

    Se potesse l’orror per gl’inuditi
    Nuovi misfatti d’una gente ingrata
    Chiamar gli estinti dagli eterni liti
    A ragionar nella favella usata,
    Fra questi marmi a monumento uniti
    Di Poerio verrìa l’ombra sdegnata;
    Nè resister potrebbe un’alma sola
    A le saette della sua parola.

    — Io non chieggo sepolcri, io non pretendo
    Onor di marmi, nè di laudi ho sete:
    Se per voi vuolsi rimertarmi ergendo
    Ai miei mani un sepolcro, e voi l’ergete:
    Io grazia alcuna d’un tal don non rendo,
    Che voi stessi, o m’inganno, a vil tenete:
    Qual merto ha l’urna d’un guerrier fra vivi,
    Che son dell’armi e della guerra schivi?...

    Tutta Italia riarda in una fiamma,
    Non dia mai posa all’invasor protervo,
    Compia col ferro di tant’anni il Dramma,
    Non sia più patto fra tiranno e servo:
    Ove palpiti un uom, ch’abbia una dramma,
    Di sangue in petto e ne le braccia un nervo
    Prenda l’armi e combatta! E allor quest’ossa
    Superbiran dalla marmorea fossa!

    Guerra, guerra, per Dio, guerra mortale,
    Insistente, feroce, unica, estrema!
    Ogni città sovrana, ogni casale
    L’ultima stilla del suo sangue sprema!
    Come Ocean per turbine ferale,
    Quant’è l’Italia si convella e frema!
    Un impeto concorde! Un trar di spade!
    E libere saran queste contrade!

    E chi per sesso e per età mal puote
    Nella campal giornata empier le file,
    I suoi tesauri generoso or vuote
    Per chi combatte la potenza ostile;
    Preghino Iddio le vergini devote,
    O s’armi anch’essa la beltà gentile:
    Ognun renda la vita al suol natio,
    Ai posteri la fama, e l’alma a Dio!

    S’altro desio vi muove, io maledico
    A questa tomba, che per me si eleva!
    Pria che venga il Tedesco e l’impudico
    Femmineo amplesso e il vostro acciar riceva,
    Abbattete quest’urna; ond’ei nemico
    Non vi si segga, ed irrisor vi beva!
    Onde la pipa ei non accenda a queste
    Funeree lampe che su me poneste!




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