Library / Literary Works

    Vincenzo Monti

    Al signor di Montgolfier

    CONTENUTO: Come Orfeo cantò in antico la prima spedizione navale, cosí è ben degno che il p. nel presente canti la prima navigazione aerea, perocché il Montgolfier fu maggiore di Giasone (1-36). La scoperta del pallone volante fu una vittoria della scienza, che ricerca e spiega le cause onde ha vita il creato (37-56). Il gaz idrogeno, che, chiuso nelle viscere della terra, fa vacillare il mondo, eccolo, reso innocuo, spingere in aria il pallone, che tutti ammirano maravigliati e che molti, dopo l’esempio del Robert, vogliono sperimentare (57-112). E che piú resta alla scienza, che tante scoperte fece ed oggi è giunta a superare perfino le nubi? (113-136). Uccidere la morte e rendere l’uomo, come Giove, immortale (137-140). I fratelli Giuseppe Michele (1740-1810) e Stefano (1745-1799) Montgolfier, fabbricatori di carta ad Annonay in Francia, su la fine del 1782 fecero un pallone di carta, che gonfiarono con aria calda perché si sollevasse, come di fatti si sollevò, in aria. Questa scoperta fu studiata e perfezionata ben presto dallo Charles, che nel 27 agosto 1783 gonfiò d’idrogeno un pallone di tela (fatto fabbricare dal Robert), che fu lanciato nell’aria dal cortile delle Tuilleries. La prima ascensione che lo Charles e il Robert fecero e che il nostro poeta specialmente celebra, avvenne nel 1 dicembre dello stesso anno. — Quest’ode, che, a giudizio dello Zumb. (p. 241), «è il primo fra i migliori esempi, ch’egli ci abbia mai dato, di far poesia con immagini tratte dal soggetto medesimo», fu composta ne’ primi del 1784, pubblicata in Roma dal Casaletti nel Giornale delle belle arti, n. 28 febbraio, e recitata in Arcadia il 4 marzo seguente. Fu ripubblicata, nello stesso anno, in Foligno (Tommasini), da sé sola, e in Mantova (Braglia), seguita da un bel sonetto del Parini (Ecco del mondo....) e da un altro del Bettinelli. Vuolsi che fosse stampata anche a Parigi. L'ode del M. venne poi «miseramente alterata» in una raccolta di poesie (Napoli, Salvatore Palermo, 1789) a lode di un Vincenzo Lunardi capitano lucchese, che faceva giri in Italia, «dando spettacolo de’ suoi voli areostatici». Cfr. Vicchi VI, p. 228 e segg. — Il metro è lo stesso di quello della Pros. di Pericle.


    Quando Giason dal Pelio
    Spinse nel mar gli abeti,
    E primo corse a fendere
    Co' remi il seno a Teti;
    Su l'alta poppa intrepido
    Col fior del sangue acheo
    Vide la Grecia ascendere
    Il giovinetto Orfeo.
    Stendea le dita eburnee
    Sulla materna lira;
    E al tracio suon chetavasi
    De' venti il fischio e l'ira.
    Meravigliando accorsero
    Di Doride le figlie,
    Nettuno ai verdi alipedi
    Lasciò cader le briglie.
    Cantava il Vate odrisio
    D'Argo la gloria intanto,
    E dolce errar sentivasi
    Su l'alme greche il canto.
    O della Senna, ascoltami,
    Novello Tifi invitto:
    Vinse i portenti argolici
    L'aereo tuo tragitto.
    Tentar del mare i vortici
    Forse è sí gran pensiero,
    Come occupar de' fulmini
    L'invïolato impero?
    Deh! perché al nostro secolo
    Non diè propizio il Fato
    D'un altro Orfeo la cetera,
    Se Montgolfier n'ha dato?
    Maggior del prode Esonide
    Surse di Gallia il figlio.
    Applaudi, Europa attonita,
    Al volator naviglio.
    Non mai Natura, all'ordine
    Delle sue leggi intesa,
    Dalla potenza chimica
    Soffrí piú bella offesa.
    Mirabil arte, ond'alzasi
    Di Sthallio e Black la fama,
    Pèra lo stolto cinico
    Che frenesía ti chiama!
    De' corpi entro le viscere
    Tu l'acre sguardo avventi,
    E invan celarsi tentano
    Gl'indocili elementi.
    Dalle tenaci tenebre
    La verità traesti,
    E delle rauche ipotesi
    Tregua al furor ponesti.
    Brillò Sofia piú fulgida
    Del tuo splendor vestita,
    E le sorgenti apparvero,
    Onde il creato ha vita.
    L'igneo terribil aere,
    Che dentro il suol profondo
    Pasce i tremuoti e i cardini
    Fa vacillar del mondo,
    Reso innocente or vedilo
    Da' marzii corpi uscire,
    E già domato ed utile
    Al domator servire.
    Per lui del pondo immemore,
    Mirabil cosa! in alto
    Va la materia, e insolito
    Porta alle nubi assalto.
    Il gran prodigio immobili
    I riguardanti lassa,
    E di terrore un palpito
    In ogni cor trapassa.
    Tace la terra, e suonano
    Del ciel le vie deserte:
    Stan mille volti pallidi
    E mille bocche aperte.
    Sorge il diletto e l'estasi
    In mezzo allo spavento,
    E i piè mal fermi agognano
    Ir dietro al guardo attento.
    Pace e silenzio, o turbini:
    Deh! non vi prenda sdegno
    Se umane salme varcano
    Delle tempeste il regno.
    Rattien la neve, o Borea,
    Che giú dal crin ti cola;
    L'etra sereno e libero
    Cedi a Robert che vola.
    Non egli vien d'Orizia
    A insidïar le voglie:
    Costa rimorsi e lagrime
    Tentar d'un Dio la moglie.
    Mise Tesèo nei talami
    Dell'atro Dite il piede:
    Punillo il Fato, e in Erebo
    Fra ceppi eterni or siede.
    Ma già di Francia il Dedalo
    Nel mar dell'aure è lunge:
    Lieve lo porta zeffiro,
    E l'occhio appena il giunge.
    Fosco di là profondasi
    Il suol fuggente ai lumi,
    E come larve appaiono
    Città, foreste e fiumi.
    Certo la vista orribile
    L'alme agghiacciar dovría;
    Ma di Robert nell'anima
    Chiusa è al terror la via.
    E già l'audace esempio
    I più ritrosi acquista;
    Già cento globi ascendono
    Del cielo alla conquista.
    Umano ardir, pacifica
    Filosofia sicura,
    Qual forza mai, qual limite
    Il tuo poter misura?
    Rapisti al ciel le folgori,
    Che debellate innante
    Con tronche ali ti caddero,
    E ti lambîr le piante.
    Frenò guidato il calcolo
    Dal tuo pensiero ardito
    Degli astri il moto e l’orbite,
    L’olimpo e l’infinito.
    Svelaro il volto incognito
    Le piú rimote stelle,
    Ed appressâr le timide
    Lor vergini fiammelle.
    Del sole i rai dividere,
    Pesar quest’aria osasti:
    La terra, il foco, il pelago,
    Le fere e l’uom domasti.
    Oggi a calcar le nuvole
    Giunse la tua virtute,
    E di natura stettero
    Le leggi inerti e mute.
    Che piú ti resta? Infrangere
    Anche alla morte il telo,
    E della vita il nèttare
    Libar con Giove in cielo.




    POTRESTI ANCHE ESSERE INTERESSATO A


    © 1991-2023 The Titi Tudorancea Bulletin | Titi Tudorancea® is a Registered Trademark | Condizioni d'uso
    Contact